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Il 7 gennaio
La Monsanto è oggi una delle più grandi
multinazionali del mondo, produce prodotti chimici destinati
all’agricoltura e alla farmaceutica. Nell’ultimo decennio il suo
sviluppo in campo sementiero e delle biotecnologie l’ha resa leader
mondiale del settore.
Non è certo la prima volta che la Monsanto si ritrova a
doversi difendere davanti un tribunale. Anche in Italia, pochi mesi
fa è stata sospettata di aver importato illegalmente soia
transgenica. L’accusa allora andò in fumo con un magazzino
posto sotto sequestro a Lodi.
L’imputazione questa volta è un po’ più grave: aver
avvelenato consapevolmente gli abitanti di Anniston, Alabama, una
cittadina del sud degli Stati Uniti.
Almeno questo è ciò che un lungo articolo uscito
pochi giorni fa sul Washington Post dimostra. Pubblicando alcuni
documenti riservati interni della Monsanto, questa inchiesta
dimostra che già dal 1966 l’azienda era perfettamente a
conoscenza dell’elevata tossicità dei PCB (bifenili
policlorurati, refrigeranti utilizzati per la produzione di
materiale elettrico) realizzati nel sito industriale di Anniston
dai primi anni sessanta. Nonostante ciò non ha ritenuto
necessario fare a, se non occultare questi dati, per eliminare, o
quantomeno ridurre, l’impatto ambientale di questa produzione. Solo
nel 1977, due anni prima che le evidenze scientifiche ed
epidemiologiche decretassero la messa al bando di queste sostanze,
ne cessò la produzione.
Tutto ciò dimostra, ancora una volta, la necessità di
dover in qualche modo imporre alle aziende il “principio
precauzionale”, secondo il quale deve spettare ai produttori
dimostrare l’innocuità, per la salute umana e l’ambiente, di
una sostanza, di un prodotto, di un processo produttivo, e che tale
dimostrazione deve essere necessariamente preliminare
all’introduzione della sostanza o del prodotto sul mercato.
Delegare, come avviene oggi, alle aziende il compito di modificare
la propria produzione o ritirare le sostanze dal mercato solo dopo
che ne sia stata provata la nocività, lascia di fatto loro
mano libera e si traduce nel dover scegliere se nascondere la
verità o rinunciare ai propri guadagni.
Gabriele Garbillo
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