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“Gli uomini cominciarono a filosofare quando, notando gli effetti, si accorsero di ignorare le cause” (Aristotele), naturopatia una scienza antica
Scienza antica la naturopatia.
Fin dalla sua comparsa sul pianeta, l’uomo ha da sempre cercato
di dare risposte alle domande più inquietanti della
esistenza e tra queste il perché della malattia, del dolore
e del fine ultimo della vita stessa: la morte.
Questi interrogativi, sebbene possano ad un’analisi superficiale
sembrare di pertinenza eminentemente filosofica, hanno gettato le
basi per una pratica che potesse, lei sola, allontanare “il
maleficio” dalla persona sofferente.
A chi, dunque, rivolgere le proprie attenzioni per trovare una cura
in grado di allontanare le grandi sofferenze, fisiche e spirituali?
L’ambiente circostante, la Natura dispensatrice di frutti prelibati
e piante velenose, era l’unica in grado di offrire all’uomo rimedi
aventi il magico potere di lenire le piaghe che affliggevano
uomini, tribù e intere popolazioni.
In quell’epoca antica, dove la musica sacra del tamburo
accompagnava il rito della guarigione, tutta la realtà era
permeata da uno spirito omnipervasivo che univa mondo fisico e
mondo divino. Non vi era così distinzione tra il “mondo
interiore” dell’individuo e la realtà circostante. Tutto era
vivo e animato: gli eventi esteriori influenzavano il divenire
dell’uomo e viceversa, gli sconvolgimenti dell’uomo influivano
sull’ambiente fisico in un continuo e incessante interscambio tra
le due parti, tra uomo e natura, tra uomo e divinità.
In un tale contesto, è evidente, la cura diventava un
momento intenso e pregno di sacralità dove solo il
sacerdote-medico, l’unico in grado di comunicare con la
divinità, era in grado di ristabilire l’equilibrio
dell’individuo malato. La malattia, nell’assetto
sociale-antropologico, era l’evento condiviso da tutta la
comunità e la cura un intenso rituale che ne coinvolgeva
tutti i membri.
Su questi presupposti, legati ancora alla sfera del soprannaturale
e del divino si celano le prime esperienze terapeutiche, popolate
di rituali di guarigione, rimedi naturali e simboli archetipali. In
questo mondo mitico, legato alla tradizione ed ad un “linguaggio
formulaico”, ancora lontano dal “Logos” proprio della scienza, si
sono sviluppate sulle rive del Mediterraneo le grandi
civiltà quali quella Egizia, Greca Latina senza dimenticare
le prime Scuole di Medicina del Mondo Arabo (Avicenna). Ciascuna di
queste, nel suo periodo di massimo splendore ha dato grandi
contributi all’arte terapeutica, non possiamo, infatti, dimenticare
i rituali di guarigione operati ad Epidauro in Grecia, i contributi
dati alla Diagnostica e alla Terapia dai Medici Egiziani, da Galeno
e da Avicenna.
In questo mondo basato su un’idea unitaria di uomo, si
inserirà il pensiero di Platone, prima e quello di Cartesio
molti secoli dopo che andranno a distruggere per sempre l’antica
armonia. Dalla divisione cartesiana tra “res extensa” e “res
cogitans” si originerà irrimediabilmente il dualismo del
pensiero occidentale.L’uomo non è più mediatore tra
la sfera umana e la sfera divina, ma è separato, scisso in
due entità che mai più potranno trovare
conciliazione.
A sancire questa rottura contribuirà l’Illuminismo che
sancirà l’avvento della “Nuova Scienza” e con essa le
scoperte “nuove” della Chimica, Microscopia ecc.., ponendo la
visione pragmatica cartesiana come elemento fondamentale della
Medicina. Si assiste così ad una definitiva separazione tra
due mondi, tra arte e scienza.
L’antica ars curandi, l’arte della cura si è da allora
frazionata progressivamente in una sequenza di specializzazioni
volte a ricercare nel “micro” la causa prima della malattia.
Sebbene il progresso scientifico e tecnologico abbia raggiunto
importanti traguardi in ambito diagnostico e preventivo,
l’ossessiva ricerca dell’agente patogeno ha dimenticato l’essere
umano nella sua totalità e la malattia come espressione di
un suo disagio profondo.
Gianluca Favero
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