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La crescita demografica e la mancanza d’investimento nei paesi in via di sviluppo (soprattutto nell’Africa subsahariana) ha aumentato la dipendenza dei paesi in via di sviluppo dai mercati internazionali creando molti problemi nei periodi di aumento dei prezzi delle materie prime.
Il problema è che finora si è pensato che
produrre di più volesse dire sconfiggere la fame.
Così Olivier de Schutter, Special Rapporteur delle Nazioni
Unite sul diritto al cibo. Ma il rapporto dal titolo “Nutrire
il pianeta” ci svela che questi due obiettivi non sono
collegati, almeno direttamente.
I maggiori produttori di cereali come Australia, Stati Uniti e
Cina, hanno aumentato costantemente la produttività grazie a
nuove tecnologie agricole. Ma in vaste aree del continente asiatico
e in Africa subsahariana l’agricoltura ha fatto pochi progressi a
causa di investimenti insufficienti. Da qui l’esigenza di mettere
in atto un nuovo piano di sviluppo che punti sull’innovazione e su
una distribuzione più corretta delle risorse.
Per fare ciò, lo studio affronta tre problemi di grossa
rilevanza. Aumento demografico, cambiamenti climatici e
iniquità.
La crescita
demografica e la mancanza d’investimento nei paesi in
via di sviluppo (soprattutto nell’Africa subsahariana) ha aumentato
la dipendenza dei paesi in via di sviluppo dai mercati
internazionali creando molti problemi nei periodi di aumento dei
prezzi delle materie prime.
E proprio l’aumento dei prezzi è dovuto soprattutto
agli effetti dei
cambiamenti climatici che stanno compromettendo la
resa agricola. L’ondata di calore che ha colpito la Russia
nell’estate del 2010 ha portato il governo di Mosca a sospendere le
esportazioni di grano provocando un aumento del prezzo di un
terzo.
L’iniquità, infine, è aumentata
per la disponibilità dei paesi ricchi ad investire di
più. Se anche solo una piccola parte delle risorse investite
in Brasile o negli USA venisse investita per l’innovazione in
Africa, il pianeta non farebbe fatica a raggiungere l’obiettivo ONU
di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015.
Come soluzione, il Worldwatch
Institute ha studiato per circa due anni il lavoro di
esperti e progetti che sono già stati realizzati sul campo.
In particolare vengono descritte 15 pratiche collaudate anche dal
punto di vista ambientale. Kenya, Gambia, Sudafrica. In tutte
queste esperienze viene messa in risalto l’importanza del lavoro
delle donne a cui è affidata gran parte della produzione
agricola.
Comune denominatore dello State of the World
2011 è l’abbandono di teorie semplicistiche del
tipo “più grande è meglio”, in favore di soluzioni di
lungo termine e adatte alle diverse realtà.
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