One forest summit, c’è un nuovo vertice che tenta di salvare le foreste

Un nuovo fondo per premiare i paesi che si impegnano a proteggere le loro foreste e a ridurre le emissioni di CO2: i risultati del One forest summit.

La protezione dei bacini forestali è una questione globale. Assorbono circa 2,6 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno e svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del clima, oltre ad essere tesori di biodiversità e habitat di specie in via di estinzione. Inoltre, fungendo da cuscinetto tra le società umane e i cicli naturali, svolgono un ruolo fondamentale nel prevenire l’insorgere di nuove epidemie. Eppure, nonostante la conservazione delle foreste tropicali sia fondamentale per rallentare gli effetti del riscaldamento globale, ampie fasce di foresta continuano a essere distrutte per far posto a terreni agricoli.

One forest summit: protezione foreste
I bacini forestali svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del clima © iStockphoto

L’obiettivo del One forest summit

Per questi motivi, il 1 e il 2 marzo si è tenuto il One forest summit a Libreville, in Gabon. L’obiettivo del vertice è stato creare un momento chiave per progredire nell’azione climatica e nella conservazione della biodiversità, promuovendo la solidarietà tra i tre principali bacini forestali su scala globale: l’Amazzonia, la foresta del bacino del Congo e le foreste tropicali del Sudest asiatico. Al termine del summit è stato presentato il cosiddetto Piano di Libreville, basato su cinque pilastri legati all’impegno politico mondiale nella tutela delle foreste, tra la convivenza sostenibile tra natura e essere umano e, soprattutto, sulla remunerazione ai paesi che tutelano questi habitat per il servizio che rendono al pianeta.

Perché in Gabon?

Il vertice è stato fortemente voluto sia dal presidente del Gabon Ali Bongo Ondimba sia dal presidente francese Emmanuel Macron, preannunciando l’organizzazione del summit già durante Cop27 dello scorso novembre a Sharm el-Sheikh. Il Gabon è uno dei sei Paesi del bacino del fiume Congo, il suo territorio è coperto per l’88 per cento dalla foresta e da anni il governo sta cercando di portare avanti una politica che vada a tutelare gli ambienti naturali: circa un terzo delle sue foreste ha lo status di parco nazionale. Il governo si è anche impegnato a proteggere specie rare, come l’albero Kevazingo nel Parco di Pongara, il cui legno è ricercato e quindi molto costoso. Allo stesso modo, questi parchi costituiscono un rifugio per gli animali minacciati dal bracconaggio, come gli elefanti della foresta, i pangolini giganti e i gorilla di pianura. Oltre all’impegno nella protezione della foresta tropicale, il Gabon è uno dei pochi Paesi che assorbe più CO2 di quanta ne emetta. Per questo è diventato il primo Stato africano a ricevere compensazioni economiche dalle Nazioni Unite nel 2021, per la protezione dell’ambiente e la riduzione delle emissioni. Tuttavia, le risorse internazionali stanziate per la protezione degli ambienti forestali equatoriali restano troppo basse.

Com’è andato il vertice

Il summit ha riunito capi di Stato e ministri dei tre continenti – America Latina, Africa e Sudest asiatico – e ha affrontato le questioni relative alla conservazione dei tre principali bacini forestali, in linea con lo storico accordo raggiunto alla Cop15 di Montréal sulla protezione della biodiversità dello scorso dicembre. Uno dei punti principali è stato dimostrare che la tutela delle foreste e lo sviluppo economico dei Paesi delle aree interessate non sono contrapposte: gestire una foresta in modo sostenibile permette sia di preservare la biodiversità, sia di sostenere economicamente le popolazioni locali. Il One forest summit non ha avuto l’obiettivo di adottare l’ennesima dichiarazione politica, ma di trovare delle soluzioni pratiche e concrete per la tutela di questi ecosistemi. Si è discusso di come sviluppare settori economici sostenibili che favoriscono le economie locali, concentrandosi in particolare sul settore del legno e dei prodotti derivati dall’agroforestazione, remunerando i Paesi che si impegnano nella riforestazione dei loro territori.

Grande attenzione anche nei confronti degli attori privati e dei crediti di carbonio: un’azienda che vuole contribuire alla lotta contro la crisi climatica può investire in progetti che aumentano la capacità netta di stoccaggio della CO2 delle foreste, ad esempio attraverso progetti di ripristino dei terreni o di riforestazione. E le proposte di crediti di carbonio non hanno tardato ad arrivare. La società newyorchese che si occupa di finanza e innovazione EXQ Biome ha lanciato un’offerta di 400 milioni di dollari per le concessioni petrolifere nella foresta pluviale del bacino del Congo e nel parco nazionale di Virunga, con l’intenzione di trasformarle in progetti di conservazione. In conclusione al vertice si è creato un piano di investimenti per la protezione degli “stock” di carbonio e della biodiversità, contro la deforestazione. Sulla base delle raccomandazioni del Global environment facility, si cercherà di delineare i contorni di questo nuovo strumento di finanziamento. Come primo passo è stato istituito un primo finanziamento di cento milioni di euro, metà dei quali saranno forniti dalla Francia.

One forest summit
Il summit è stato fortemente voluto sia dal presidente del Gabon sia dal presidente francese © One forest summit

Interessante come Macron, al suo arrivo al summit abbia annunciato che l’epoca dell’influenza francese nel continente sia terminata, ma al tempo stesso abbia deciso di stanziare metà dei primi finanziamenti accordati durante il vertice. Se da un lato l’inquilino dell’Eliseo ha dichiarato la fine dell’era della Francafrique, dall’altra ha insistito per essere presente a Libreville, in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali del paese centrafricano, di fatto silenziosamente appoggiando il presidente in carica – nonché figlio di Omar Bongo, presidente del Gabon dal 1967 al 2009. Non solo: la tappa gabonese è stata la prima del viaggio di Macron in quattro paesi dell’Africa centromeridionale nel tentativo di trovare spazio nella regione, dopo aver perso le enclavi delle ex colonie francesi nel Sahel. L’impressione è l’utilizzo delle politiche ambientali da parte di Parigi come nuova forma di gestione delle alleanze e delle sfere di influenza nel continente, in ottica anti-cinese e anti-russa.

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