Panda Bear – Tomboy

Le fantasie sonore del Brian Wilson degli Animal Collective s?incupiscono e diventano “inni” pagani in Tomboy.

No, Tomboy non è l’altra faccia di Down There. Sei mesi fa
Avey Tare ci aveva guidati in un viaggio in una palude di suoni
melmosi e sinistri, traghettandoci in un mondo di tenebre. Il suo
compare negli Animal Collective non “risponde” col disco alla Brian
Wilson che molti s’aspettavano dopo l’exploit di Person Pitch di
quattro anni fa. Tomboy è il trionfo di riverberi,
microsuoni che scricchiolano in sottofondo, parti vocali che si
espandono nell’aria – un “viaggio” che s’apprezza ascoltandolo in
cuffia -, ma non è un inno alla gioia.

Noah Lennox non rinuncia al carattere sognante e volutamente
indefinito della sua musica, immergendo l’ascoltatore in trame
sonore che ammaliano e stordiscono, ma non sempre le sue
architetture suggeriscono lievità d’animo. Si respira un
senso d’isolamento, forse dettato dal fatto che il disco è
stato inciso in solitudine nello studio di Lisbona del musicista
(da cui il titolo della traccia che chiude il lavoro, Benfica).
Lennox dice di averlo ideato soprattutto alla chitarra, ispirato
dalla visione di un concerto dei Nirvana. Di rock, però, qua
dentro ce n’è poco. E quel che c’è viene
trasfigurato.

Niente good vibrations, insomma? Solo in parte. È vero che
Tomboy s’annuncia con la rassicurante You Can Count On Me e con il
glorioso mantra «Puoi contare su di me» che sembrerebbe
rivolto da un padre al proprio figlio. È vero anche che
Surfer’s Hymn mantiene quel che il titolo promette e che Last Night
At The Jetty ha una melodia quasi scanzonata. Ma il carattere
ripetitivo e quasi ossessivo di certe strutture – forse retaggio
del passato techno -, la staticità di alcune melodie
abbinata ad armonizzazioni (quando ci sono) elementari finiscono
per deprimerne il tono, ma anche per donare al lavoro un carattere
innodico moderno e peculiare.

Scheherazade fa storia a parte. È la visione che non
t’aspetti, una cosa che avrebbe potuto scrivere Roger Waters in un
momento down, se solo avesse ancora 30 anni: accordi sparsi di
pianoforte si riverberano nel nulla, suoni indecifrabili di
sottofondo, un canto straniante. È roba che viene da un
luogo oscuro.

E poi, altrove, voci che suonano come sintetizzatori, chitarre rese
irriconoscibili una volta passate attraverso un modulo Korg, ritmi
ostinatamente ripetuti, il tutto immerso in uno spazio dove ogni
cosa riverbera: forse Tomboy non alza l’asticella, ma rassicura chi
considera Panda Bear il grande talento della psichedelia pop. Negli
ultimi anni gli Animal Collective non hanno sbagliato un colpo:
Merriweather Post Pavilion, i due dischi solisti, l’ep Fall Be
Kind, il videoalbum Oddsac. Il 25 maggio sono all’Alcatraz di
Milano: il nuovo pop passa di lì.

Claudio Todesco

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