Paolo Ricotti, Planet Life Economy: “Che l’economia rispetti il pianeta”

La fondazione “Planet Life Economy” cerca di portare nelle aziende una cultura di progettazione, produzione e distribuzione che segue le logiche dello sviluppo sostenibile.

Per molti anni dirigente in grandi aziende come la Nestlé
e la Coin, Paolo Ricotti è passato dall’altra parte quando
ha fatto nascere un anno e mezzo fa la fondazione “Planet Life Economy”. La
fondazione porta avanti un progetto volto a convincere le imprese
che lavorare con criteri rispettosi dell’ambiente e della vita
planetaria favorisca a lungo andare benessere ed economia. La
fondazione ha sede a Milano.

Sul vostro sito parlate di Planomia. Di cosa si
tratta?

E’ un neologismo creato da noi e sta per la scienza che studia
comportamenti umani che siano in sintonia con lo sviluppo
sostenibile. Se economia e planomia si incontrano e interagiscono,
la produzione e distribuzione seguono le logiche dello sviluppo
sostenibile.

Perché il cambiamento da dirigente di grosse
aziende a ideatore di una fondazione che si occupa di convincere
queste a comportamenti etici ed ecologici?
Circa cinque
anni fa mi sono reso conto che l’industria sta andando nella
direzione sbagliata in quanto alimenta la progressiva
devitalizzazione del pianeta
. Ho incontrato il “global
contact”, un organizzazione che crea e gestisce la comunicazione
tra azienda e potenziali clienti, un sistema che ho adottato e che
mi ha ispirato. Ho capito che il benefit del prodotto diventa un
elemento di competitività e contemporaneamente crea un
valore aggiunto facendo del bene al pianeta. Quando lavoravo alla
Coin ho anche capito, osservando lo spreco nello packaging, che si
poteva fare qualcosa, che l’industria stessa può agire.

C’è stato un evento preciso che ti ha fatto
capire questo?
Osservando il mondo dall’alto ho visto
che le città con l’urbanizzazione si allargono come delle
metastasi, si prendono tutto il territorio. La superficie terrestre
è sempre meno viva e sempre meno riesce a soddisfare le
necessità della vita.
L’uomo è una cellula malata della terra, essendo
intelligente si autoprotegge, ma facendolo come fa ora si
autodistrugge.

E ora cercate di intervenire direttamente nelle
aziende?
Essendo l’economia il fulcro che fa muovere
tutto, bisogna evolverela, bisogna portare avanti dei valori
proprio attraverso l’economia e renderla pratica all’interno
dell’impresa. Attualmente l’offerta di prodotti realizzati con
certi criteri manca sul mercato, il pubblico
è più avanti delle aziende
. L’avanzato
stato di crisi del pianeta è un segnale che il mondo
dell’economia deve farsi carico di responsabilità superiori
a quelle comunemente condivise fino ad oggi, e soprattutto deve
capire meglio il significato di creazione di ricchezza.

Come fate a sapere che esiste un pubblico che non
aspetta altro che prodotti ecosostenibili?
L’istituto
Eurisko ha fatto delle ricerche per noi e ha rilevato che il
consumatore è pronto a scegliere prodotti realizzati con
imprese che si comportano in maniera responsabile. Il consumatore
c’è, la finanza c’è e il dow jones di aziende con
comportamenti etici ha un andamento superiore alla media del
mercato. La finanza è predisposta ma non ha ancora i
mezzi.

I consumatori sono disposti a scegliere un oggetto
pagandolo di più perchè è di provenienza
etica?
Sempre secondo le indagini del nostro Istituto
l’80% dei consumatori pagherebbe il 10% di più. Ma noi
lavoriamo affinché il prodotto costi meno. Basta pensare
alla diminuzione e razionalizzazione del packaging o a una
distribuzione più razionale che eviti inutili spostamenti di
merce.

Verranno mai presi in considerazione anche i costi
causati da inquinamento e traffico?
Siamo fautori di
una catena che considera questi costi, è una cultura che va
diffusa. Il valore intriso in
un prodotto deve considerarli
. Noi lavoriamo per una
riqualificazione del consumo, non per la sua riduzione. Un
rappresentante dell’Eni mi disse una volta che le macchine
consumano molto meno carburante di una volta. Ma se
contemporaneamente aumentano le macchine, questa riduzione non
significa niente, bisogna sviluppare un motore che non inquina. Il
problema è la qualità, non la quantità.

Le aziende si mostrano disponibili?
In questo momento hanno altre priorità, ma bisogna aiutarele
a capire, bisogna fare un lavoro di evoluzione, tenendo chiaro
quali sono le scelte da fare. Abbiamo da valorizzare i mille
prodotti che esistono nostro paese, beni dei quali siamo ricchi,
come l’agricoltura, la gastronomia, arte cultura e spettacolo:
creando e curando del valore locale evitiamo di spostare le
popolazioni e le merci, utilizziamo meglio le risorse sul
posto.

Le attività in corso?
Portiamo alle
aziende i nostri progetti sull’ecocompattibilità
dell’industria. Si tratta di riprogettare, ridisegnare, ricostruire
tutti i processi produttivi e di distribuzione oggi esistenti.
Dall’altro lato è necessario distruggere, demolire, anare le
strutture industriali inquinanti e di vecchia generazione, ridando
vita agli ecosistemi compromessi e riequilibrando la
vitalità dei territori morti dall’eccesso della cementificazione, inquinamento e
deforestazione
.

Sei soddisfatto di come si muovono le cose?
C’è molto da fare, la consapevolezza è poca e non ci
conoscono ancora in molti, siamo nati nel giugno 2003. Comunque
riceviamo il sostegno di sempre più persone e i nostri
convegni sono sempre più seguiti.

Rita
Imwinkelried

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