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Com’è andata a finire con il reddito di cittadinanza in Finlandia

Si è concluso il biennio di sperimentazione del reddito di cittadinanza in Finlandia. Nel bilancio pubblicato dal governo non mancano le sorprese.

Nell’acceso dibattito sul reddito di cittadinanza, che ha agitato le acque della politica italiana negli scorsi mesi, non era facile trovare casi reali da prendere come riferimento. Uno dei più recenti, completi e discussi è quello della Finlandia, che alla fine del 2018 ha archiviato una sperimentazione durata due anni.

A conti fatti, il reddito di cittadinanza in chiave nordica ha raggiunto i suoi scopi? A tracciare un bilancio ufficiale è il report pubblicato a febbraio dal ministero per la Salute e gli affari sociali di Helsinki.

Juha Sipilä, Finlandia
Il primo ministro finlandese Juha Sipilä © European Union 20XY – Source: EP

Come funzionava il reddito di cittadinanza in Finlandia

Il reddito di cittadinanza in Finlandia è stato introdotto in via sperimentale dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2018. Sono state selezionate casualmente duemila persone di età compresa fra i 25 e i 58 anni, che già beneficiavano di un sussidio di disoccupazione da parte di Kela (l’istituto di previdenza sociale, l’equivalente della nostra Inps). Ciascuna di loro ha ricevuto 560 euro al mese per due anni, esentasse. Non era richiesto nessun altro requisito particolare: anche chi nel frattempo ha trovato lavoro, infatti, ha continuato a incassare l’assegno. Al termine del periodo predefinito, la misura non è stata rinnovata.

Il report pubblicato dal governo è parziale, perché prende in considerazione soltanto il 2017; per l’elaborazione dei dati completi bisognerà attendere fino al 2020. Lo studio si focalizza su due macro-aree, monitorate in modi diversi. L’analisi dei dati infatti ha permesso di mappare tutte le variazioni in termini di occupazione e reddito individuale, mentre un sondaggio ha aiutato a valutare l’impatto sulla salute e sul benessere. In entrambi i casi, i dati sui duemila beneficiari sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo composto, rispettivamente, da 173mila e 5mila soggetti.

I beneficiari non trovano lavoro, ma vivono meglio

Il reddito di cittadinanza aiuta a trovare lavoro? Stando a questo primo studio, la risposta è un netto “no”. Nell’anno monitorato, i beneficiari hanno lavorato in media 49,64 giorni, solo mezza giornata in più rispetto al gruppo di controllo. Il 43,7 per cento di loro ha lavorato in proprio, un punto percentuale in più rispetto al gruppo di controllo, ma guadagnando in media 21 euro in meno.

I risultati si fanno invece molto più promettenti quando si passa a considerare parametri diversi. Alla richiesta di dare un voto da 0 a 10 alla propria qualità della vita, la media per chi riceve il reddito di cittadinanza è pari a 7,32, molto più alta rispetto al 6,76 del gruppo di controllo. E questo in modo trasversale rispetto a genere, età, titolo di studio, composizione del nucleo familiare e reddito.

I beneficiari dimostrano anche più fiducia nei confronti degli altri, della politica, del sistema giudiziario e delle loro stesse opportunità di trovare un impiego nel prossimo futuro. Il 54,8 per cento di chi riceve l’assegno definisce il proprio stato di salute come “buono o molto buono”, contro il 46,2 per cento del gruppo di controllo. Viceversa, soltanto il 16,6 per cento si dice stressato, una percentuale che nel gruppo di controllo sale fino al 25 per cento.

“Non ci sono differenze significative tra i due gruppi in merito all’occupazione. Ad ogni modo, i risultati dell’indagine mostrano differenze rilevanti che riguardano diversi aspetti del benessere. Questi risultati non sono in contraddizione tra loro”, conclude lo studio.

 

Foto in apertura © Joakim Honkasalo / Unsplash

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