Richard Primack all’inizio degli anni Novanta collabora al Programma Unesco per l’Uomo e la Biosfera, occupandosi della conservazione e della gestione delle foreste tropicali in India e nell’America Centrale e nel 2002 viene eletto presidente della “Association for Tropical Biology”. Attualmente la sua più importante ricerca in ambiente tropicale riguarda la stabilità a lungo termine delle foreste pluviali del Borneo malese. Qual è la sua opinione in merito ai cambiamenti climatici globali? Le prove più recenti mostrano chiaramente che la Terra sta diventando più calda. Le risposte delle specie animali e vegetali a questi cambiamenti sono già evidenti: gli uccelli anticipano la migrazione e la riproduzione e le piante fioriscono prima rispetto a quanto accadeva tre o quattro decenni fa. In seguito al riscaldamento, molte specie rare ad areale ristretto nonché specie con scarsa capacità migratoria non saranno in grado di sopravvivere. E’ quindi necessario individuare le strategie per favorirne la migrazione naturale oppure per spostarle artificialmente. Anche se non dobbiamo dimenticare che la principale causa della loro scomparsa è la distruzione dei rispettivi habitat da parte dell’uomo. Come si può conciliare nelle aree protette la salvaguardia di specie ed ecosistemi con il turismo e lo sviluppo economico locale? Le aree protette sono lo strumento più efficace che abbiamo per conservare la diversità della vita, ma solo a patto che siano gestite correttamente. Soprattutto in Europa, il territorio delle aree protette è spesso abitato. Qui è dunque necessario trovare un equilibrio. Il raggiungimento di questo equilibrio rappresenta una grande sfida per coloro che si occupano di conservazione e richiede uno sforzo multidisciplinare da parte di politici, gestori delle aree protette, sociologi, economisti, conservazionisti e, non ultimo, popolazioni locali. Le azioni che, in nome del turismo, alterano in modo irreversibile gli habitat all’interno delle aree protette sono da evitare. La conservazione delle risorse naturali deve però avvenire non solo nelle aree protette ma anche al di fuori di esse. I vincoli per la protezione delle acque e per la qualità dell’aria proteggono contemporaneamente la salute dell’ambiente e quella dell’uomo. La biodiversità è in crisi. Cosa si può fare? Bisogna agire sia a livello locale sia a livello globale. Dobbiamo lavorare con le persone a livello locale perché è qui che esiste la diversità della vita ed è qui che le persone vivono, operano, interagiscono. In molti casi, però, le forze che distruggono l’ambiente e le relative soluzioni sono internazionali. Per esempio, la diffusione di inquinanti nel Mediterraneo è un grave problema nazionale ma anche internazionale, data la facilità con cui queste sostanze si spostano con le correnti. I cambiamenti climatici sono un altro problema che richiede azioni coordinate internazionali. Ugualmente, il commercio di specie rare e a rischio di estinzione può essere contrastato solo facendo forza sui trattati internazionali vigenti. Il contributo alla soluzione di problemi globali viene anche dall’azione individuale: dal risparmio energetico alla raccolta differenziata dei rifiuti, dal rispetto delle leggi ambientali vigenti all’uso dei prodotti non inquinanti. E’ cruciale tener presente anche la scala temporale: per poter risolvere i problemi ambientali bisogna entrare nell’ottica del lungo periodo. Il principio guida non deve essere quello di porre rimedi temporanei laddove si fanno danni, ma evitare danni a priori in modo da preservare le risorse ambientali in condizioni ottimali per il futuro. Come possono le istituzioni universitarie contribuire alla conservazione? Le Università hanno un ruolo cruciale nel formare le nuove generazioni di biologi della conservazione. In molti casi la formazione si focalizza esclusivamente su singole discipline accademiche ristrette e non si riconosce l’importanza di formare persone che dopo l’Università possano già applicare le conoscenze acquisite. I programmi di studio centrati sulla biologia della conservazione possono aiutare a cambiare questa prassi, purché alla base della formazione vi sia sempre un alto livello di conoscenza e una solida cultura scientifica. Quali sono i principi della biologia della conservazione? La biologia della conservazione, che concerne la conservazione della natura e delle sue risorse, si è sviluppata come nuova disciplina scientifica a seguito della constatazione che specie selvatiche e comunità biologiche sono sempre più minacciate dalle attività umane. I biologi della conservazione studiano la diversità della vita, come tutti gli altri biologi. In più essi studiano anche i fattori di rischio a cui questa diversità è esposta a causa delle attività umane e le azioni da intraprendere per salvaguardare specie e habitat. I biologi della conservazione possono lavorare alla gestione delle aree naturali protette e in generale dell’ambiente, possono affiancare i decisori politici nelle scelte di governo del territorio e nella emanazione delle apposite leggi, possono collaborare con economisti e filosofi per sviluppare nuove argomentazioni economiche ed etiche per la protezione di specie e habitat. Infine il loro lavoro si può affiancare a quello di economisti, sociologi e di coloro che collaborano con i governi locali per attuare nelle aree protette forme di sviluppo rurale che consentano alle popolazioni ivi residenti di trarre benefici dall’area protetta senza danneggiare né le specie né i loro habitat. Proprio da queste relazioni con una grande varietà di scienze applicate nasce l’interdisciplinarità della biologia della conservazione. I biologi possono guidare, nella pratica, la gestione ambientale? Sì, devono lavorare con i gestori dei parchi e delle riserve, con le pubbliche amministrazioni, con le società e le aziende private, con le popolazioni locali, per verificare insieme a loro lo stato di salute dell’ambiente e capire se questo è stabile, se è in fase di miglioramento o di peggioramento. Da qui devono nascere le linee guida e le conseguenti scelte politiche per la conservazione del patrimonio naturale e la gestione del territorio. Un altro aspetto fondamentale è la condivisione delle conoscenze acquisite non solo con gli altri tecnici della gestione dell’ambiente ma anche con le comunità di cittadini e con i politici. Solo trasmettendo le loro conoscenze alla collettività sociale i biologi possono contribuire concretamente al processo di educazione al rispetto per l’ambiente. Franco Pedrotti