Diritti umani

Rohingya, il governo del Myanmar nega il genocidio

Pur ammettendo violenze e crimini di guerra, una commissione d’inchiesta birmana ha negato che ai danni dei rohingya sia stato perpetrato un genocidio.

Quello commesso ai danni dei rohingya non è un genocidio. È questa la (non sorprendente) conclusione alla quale è giunta una commissione incaricata dal governo del Myanmar  (ex Birmania) di indagare sulle violenze ai danni della minoranza musulmana. Che dunque di fatto scagiona totalmente i vertici dell’esercito.

“Crimini di guerra”, ma non “genocidio” secondo la Birmania

La commissione “indipendente” ha riconosciuto che alcuni membri delle forze di sicurezza birmane hanno fatto un uso “sproporzionato” dei loro mezzi. E hanno commesso “crimini di guerra” e gravi violazioni dei diritti umani, tra i quali “omicidi di innocenti nei villaggi e la distruzione delle loro case”. Eppure, secondo i membri dell’organismo d’inchiesta, tutto ciò non costituisce un genocidio: “Non ci sono prove evidenti che permettano di concludere che tali crimini siano stati perpetrati con l’intenzione di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo etnico o religioso”.

Rohingya, donne
Romida, un’attivista Rohingya che si è rifugiata in Bangladesh per sfuggire agli attacchi militari del 2016 in Myanmar © Allison Joyce/Getty Images

A tale posizione delle autorità del Myanmar ha risposto la Corte di giustizia internazionale, che giovedì 23 gennaio si è dichiarata competente per indagare su una richiesta giunta dal Gambia. Quest’ultimo – sostenuto da altri 57 Stati – ha chiesto infatti di proteggere i rohingya dal rischio di nuove violenze perpetrate dall’esercito birmano. Accusando apertamente quest’ultimo di aver violato la Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 per la prevenzione e la repressione dei crimini di genocidio.

Di qui la richiesta alla Corte di giustizia internazionale, di intervenire. E il primo atto ufficiale del tribunale, secondo quanto annunciato dal presidente Abdulqawi Ahmed Yusuf, è stato quello di ordinare al Myanmar di “attuare tutte le misure a sua disposizione” per prevenire un eventuale genocidio nei confronti della minoranza musulmana.

Le ong: il rapporto sui rohingya non è trasparente

Nel frattempo, un’associazione per la difesa dei diritti umani, l’Organizzazione birmana rohingya UK (Brouk) ha contestato aspramente le conclusioni della commissione d’inchiesta. Spiegando che esse rappresentano unicamente un modo per tentare di distogliere l’attenzione dalla questione.

Allo stesso modo, Phil Robertson dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch, ha spiegato che il “rapporto della commissione birmana sembra prendere come capri espiatori alcuni soldati, a titolo individuale, anziché valutare le responsabilità complessive del comando militare dell’esercito”. Inoltre, l’attivista ha spiegato che l’inchiesta “è molto lontana dal poter essere giudicata trasparente”.

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