The Cleaners racconta la storia dei giovani che rimuovono i nostri post “inappropriati”

La storia dei giovani che, negli anonimi grattacieli di Manila, dedicano 10 ore al giorno alla pulizia della rete, rimuovendo da Google, Facebook, Twitter contenuti “inappropriati”. È la trama di The Cleaners.

di Caterina Bogno, Film TV

Chi sono di preciso i doppelgänger che, nel manifesto simbolismo del film di Jordan Peele, abitano i sotterranei dimenticati d’America, prigionieri di una coazione a ripetere che li costringe a inscenare una versione degenerata e dapprincipio fallita dei gesti, delle azioni, delle vite degli altri al di sopra di loro? Se noi siamo noi, chi sono loro? Sono loro anche i cosiddetti “pulitori”, l’esercito occulto e silenzioso (ma sarebbe più corretto definirlo “silenziato”) che i tedeschi Hans Block e Moritz Riesewieck portano a galla in un documentario eloquentemente intitolato The Cleaners – Quello che i social non dicono, in sala fino al 17 aprile.

Li chiamano “moderatori di contenuti”

Uno sgangherato plotone di giovani che, dietro le porte di angusti uffici negli anonimi grattacieli della capitale filippina Manila (specchi, anch’essi, deformanti; vetri opacizzati che celano la realtà brutale degli slum a cui tanti di questi colletti bianchi, la sera, fanno ritorno), dedicano dieci ore della propria giornata alla pulizia della rete, rimuovendo da Google, Facebook, Twitter contenuti che le succinte linee guida di cui sono stati precedentemente equipaggiati hanno insegnato loro a bollare come “inappropriati”. “Moderatori di contenuti” li chiamano le aziende cui è ufficialmente affidato l’appalto di tali attività – di modo che Google, Facebook e gli altri colossi non figurino mai nero su bianco nei libri contabili –, eppure più che a dei social media manager verrebbe da rassembrarli a degli spazzini (e se lo sognano, comunque, il salario degli operatori ecologici occidentali), chiamati come sono a visionare immagini e filmati (pedo)pornografici, violenti e offensivi per preservare da essi gli utenti europei e americani, ad amministrare gli scarti vergognosi dell’Occidente – come Block & Riesewieck suggeriscono, smaccatamente, insistendo sulle riprese delle discariche in cui si muovono spettrali orde di nullatenenti in cerca di qualcosa da salvare e portare con sé.

“Ignora, ignora, cancella”

 

Passano al vaglio un minimo di 25mila immagini al giorno, una per una, distinguendo tra quelle da eliminare e quelle da conservare al ritmo litanico del diktat “ignora, ignora, cancella”: sforzo degno di Sisifo, se si considera che ogni minuto, ogni giorno, sono caricate su internet circa 500 ore di filmati e 2,5 milioni di post vengono pubblicati su Facebook. È un’attività che danneggia loro – sottoponendoli a uno stress (“traumatizzazione vicaria”, per dirla clinicamente) tale da indurne alcuni al suicidio – e che mette in pericolo la democrazia stessa, perché a stabilire se dare o negare l’imprimatur a una certa immagine sono giovani privi di una formazione adeguata all’ampiezza delle questioni morali e filosofiche che il loro impiego solleva, naturalmente prigionieri del loro ristretto punto di vista, cattolico, filo-Duterte o indù (nel caso dei colleghi indiani raccontati da un altro documentario, The Moderators) che sia.

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Così, una vignetta che ritrae il presidente turco Erdogan nell’atto di violentare il logo pennuto di Twitter viene fatta sparire perché raffigura “un anziano che fa sesso con un uccello”. E, con questa, finiscono nel dimenticatoio anche testimonianze preziose del conflitto in Siria, le stesse che tante agenzie tentano faticosamente di recuperare e autenticare. È facile immaginare la portata delle conseguenze che una scelta “sbagliata” reca con sé, e l’onnivoro film dei due registi tedeschi non manca di esplorarle profusamente, dall’odio verso la minoranza birmana dei rohingya fomentato nei e dai social network all’ingerenza russa nelle ultime presidenziali americane. Più difficile, certo, nel baluginare confuso della post-verità, trovare tra il dire e il tacere, il documentare e il censurare la giusta misura.

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