L’infanzia esista ancora? L’infanzia come luogo del divenire, spazio protetto dalle verità e dai segreti degli adulti ai quali è possibile accedere attraverso rituali che chiedono un tempo e un sacrificio. L’infanzia del gioco, dell’illusione, dell’attesa; l’infanzia della creazione dell’identità e della riduzione dell’impulsività; l’infanzia del mistero che struttura curiosità e sapere. Questa dimensione si sta dissolvendo velocemente in sintonia con i cambiamenti sociali e culturali che caratterizzano l’ultimo trentennio della nostra storia. Basti pensare alla famiglia e alla scuola, le strutture preposte alla formazione dell’adulto futuro; nella storia queste hanno lavorato per ridurre il bisogno soggettivo adeguandolo alle necessità del collettivo e per farlo si sono poste come portatrici di verità, quella verità che afferma che la società è più importante dell’individuo. Ma sia nella famiglia che nella scuola quest’ordine si è capovolto; il bambino si è tramutato in soggetto protagonista della relazione, la verità verso cui orientarsi è raffigurata dal suo bisogno e l’adeguamento alle leggi sociali viene sostituita da una forte vocazione alla contrattualità con le stesse. Già questo determina la nascita di un bambino nuovo, maggiormente orientato verso il proprio desiderio e meno preoccupato di corrispondere agli obblighi che il mondo gli propone. Il problema è che a questo cambiamento se ne sovrappone un altro, forse ancor più consistente, rappresentato dal massiccio intervento dei media nell’universo dell’infanzia. Mediamente un bambino guarda la televisione per tre ore giornaliere, un tempo superiore a quello trascorso con i genitori, e questo significa che il piccolo schermo assume un ruolo importante nella formazione di modelli e di idee. La televisione si presenta in forma indifferenziata per quello che riguarda la sua accessibilità, rompe la distinzione tra mondo dell’infanzia e mondo adulto proponendo per tutti la stessa programmazione; questo significa che il bambino ha l’accesso al mondo dell’adulto, ai suoi problemi, ai suoi segreti, diventando interlocutore alla pari. All’interno di questa maturazione anticipata, diventa come l’adulto fruitore potenziale del mercato e del consumo: la pubblicità gli si rivolge in modo massiccio, inducendo bisogni e trasformandolo in un potenziale acquirente diretto o indiretto. Abbiamo quindi a che fare con un bambino sempre più grande, predisposto dai sistemi educativi ad ascoltare i propri desideri e spinto dal sistema ad orientare gli stessi verso le merci. Agli occhi dell’adulto appare arrogante, poco curioso, annoiato, privo di progettualità. Più probabilmente questo mondo gli sta sottraendo parte della sua potenzialità di elevarsi dalla concretezza del bisogno conquistando progressivamente la capacità di creare, attraverso il pensiero e la fantasia, un’immagine soggettiva della vita. La scommessa dell’intervento psicologico sul bambino si gioca oggi sulla possibilità di restituirgli questa potenzialità, aiutandolo a ritrovare nel proprio universo simbolico le immagini che sostengano la ricerca di un senso autentico e personale. Michele Oldani