Secondo la tradizione buddista tibetana, l’unica possibilità di percorrere seriamente il sentiero spirituale e di raggiungere la liberazione dal samsara, il vizioso e incontrollato ciclo di vita, morte e rinascita, l’ origine di tutta la miseria e la tragedia umana, è affidata all’incontro con un Maestro realizzato, un essere umano vivente, grazie alla cui guida possiamo sviluppare pienamente il nostro potenziale umano e realizzare la verità ultima. Sakyamuni Budda, il Budda storico ha detto che “senza il Maestro non ci sarebbero Budda”. Allo stesso modo tutte le più importanti biografie di celebri discepoli divenuti in seguito celebri maestri insistono sull’importanza del Maestro, considerandolo la radice di ogni virtù. Tutte le fasi del percorso spirituale e tutti i progressi che vengono fatti, derivano dalle benedizioni del Maestro, tanto che in nessun sutra e tantra si racconta di qualcuno che abbia raggiunto la buddità senza l’aiuto di un Maestro qualificato. Ecco perché nel buddismo tibetano la pratica più importante è la devozione al Guru. Grazie alla devozione – pratica difficile da accettare soprattutto per noi occidentali che vediamo in essa una minaccia alla nostra individualità e capacità critica- si riesce a poco a poco a sviluppare le stesse qualità del Maestro: la compassione illimitata ed equanime che si estende a tutti gli esseri senzienti, e la saggezza che fa cadere i veli dell’ignoranza e rivela la nostra natura fondamentale. L’alchimia che è in grado di realizzare un tale risultato è l’unione delle qualità del Maestro e delle sue benedizione con la fede del discepolo. E’ per questo che secondo le scritture trovare un vero Maestro è trovare la Gemma che esaudisce tutti i desideri, il Gioiello capace di porre fine ad ogni tipo di miseria e di dare vita alla beatitudine ultima e definitiva. Roberta Polverini