LifeGate lo ha intervistato per comprendere le infinite risorse che il disabile ha a disposizione, a iniziare da una particolarissima e finissima sensibilità che si manifesta in maniera sorprendente attraverso l’alchimia del teatro e della rappresentazione. Cosa occorra fare per indirizzare e incanalare al meglio queste risorse è quanto Lucarelli si preoccupa di fare ogni giorno con i suoi ragazzi, a partire da una profonda accoglienza e comprensione dell’unicità che caratterizza ognuno di loro. Come è nata la tua esperienza di teatro con il disabile? Mi sono sempre occupato di scrittura, sentivo come una necessità di comunicare attraverso la parola scritta ma anche di lavorare sul suono, sul ritmo. Di lavorare sul senso delle parole, di inventarle, di fabbricarne di nuove che fossero utili al suono, allo stato d’animo: quello che si dice un flusso di parole, di pensieri. Oppure: una scrittura sperimentale. Perché tutto, ogni cosa, va sempre etichettata, confezionata, incasellata; quello che non si conosce fa paura, è scomodo da trattare, mette disagio. Ho sempre contaminato la scrittura con il teatro e il teatro con il cinema e la musica, la poesia, grazie soprattutto a certi miei amici, a compositori e percussionisti come Ross De Julio, a scenografe e creative come Paola Licastro, attori come Alessandro Ferrara e Luca Passeri e molti altri. E’ insieme a loro che mi sono arricchito, che ho imparato a cogliere le sfumature, le diversità e l’utilità di ogni arte, di ogni cosa. E poi la mia esperienza di lavoro con ragazzi disabili nei corsi professionali, a cui avrei dovuto impartire lezioni tecniche: mi trovavo bene solo quando facevamo educazione fisica. E’ così che a poco a poco ho inserito le attività teatrali in aula, ho cercato di trasformare quei generici laboratori espressivi in qualcosa che osasse di più, che facesse sentire questi ragazzi importanti. Che tecnica usi nei tuoi laboratori espressivi? I ragazzi vanno trattati in modo normale, non c’è un sistema, una tecnica più valida di un’altra. Bisogna pensare che ogni incontro ti può insegnare qualcosa, come dice lo scrittore Joao Guimaraes Rosa: “…maestro non è chi sempre insegna, ma chi d’improvviso apprende”. Il problema è il tempo come per tutte le cose. Più tempo stai con loro, più ti dedichi a loro più acquisisci, più conquisti la loro fiducia. Il tempo, la fiducia, l’affetto: ecco la tecnica. Cosa ti dà più soddisfazione nel lavoro con i disabili? E’ vedere che sono contenti. Quando guardano un film che hanno interpretato li senti felici; si sentono seriamente considerati almeno una volta nella vita. Lavorare con loro inoltre serve tantissimo a mettersi in ascolto, ad avere pazienza, si impara che il mondo è diverso, che è necessario guardare oltre le apparenze altrimenti ogni cosa diventa così assurda, senza senso. Guardi il mondo e cosa vedi? Non capisci: la gente uccide, perseguita, fa del male. Cerchi di non fermarti alle apparenze. Daniela Milano