Un nuovo studio USA allarga i rischi potenziali. Le proteine degenerate responsabili del morbo di “mucca pazza” (BSE) e della sua versione umana (nvCJD), i prioni, sarebbero in grado di riprodursi anche nei tessuti muscolari. Se verrà confermata, la notizia smentisce la convinzione che i prioni potessero formarsi solo nei tessuti linfatici e nervosi. E mina alla base molte delle misure di prevenzione applicate fino ad oggi. Non solo la fiorentina e il midollo, quindi, ma tutte le parti degli animali possono essere a rischio. Ad affermare che i muscoli sarebbero “intrinsecamente capaci” di ospitare alti livelli delle proteine anomale è la massima autorità mondiale in materia di prioni, Stanley Prusiner, a cui nel 1997 è stato assegnato il premio Nobel per la medicina proprio per la scoperta, all’epoca contestatissima, di questo nuovo ed ancora in parte misterioso agente patogeno. In un articolo pubblicato il 19 marzo sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” (gli atti del più prestigioso istituto scientifico USA) Prusiner, assieme a colleghi dell’università di California a San Francisco, scrive di aver rilevato alte concentrazioni di prioni anche nei muscoli dei topi. Secondo i ricercatori, i prioni si sarebbero riprodotti in abbondanza anche nei tessuti dei muscoli, sebbene i livelli di accumulazione variassero, risultando più elevati in quelli delle zampe posteriori. Lo studio esprime grande cautela sulle conseguenze da trarre da questi esperimenti. I firmatari sottolineano che l’accumulazione dei prioni può variare da specie a specie, che il metabolismo dei topi non è paragonabile al cento per cento con quello di bovini o umani, e soprattutto che è molto più facile restare contagiati attraverso un’iniezione di tessuti infetti che non ingerendoli. Essi stessi però riconoscono che la loro scoperta “aumenta i timori sui rischi di consumare carni provenienti da animali infetti”, di qualunque parte dell’animale si tratti. E’ una notizia-bomba. E sta provocando una reazione a catena. A muoversi con più velocità è stata la Francia, dove alcuni campioni di tessuti muscolari prelevati da una mucca infetta sono già stati sottoposti a test. Da Bruxelles la portavoce della Commissione europea, Beate Gminder, ha fatto sapere che gli esperti del comitato scientifico valuteranno la ricerca di Prusiner. Il ministro Sirchia: “Gli esperti italiani verificheranno i risultati dello studio del professor Stanley Prusiner sulla presenza di prioni nei tessuti muscolari dei bovini”. Anche la Confagricoltura minimizza: in un comunicato afferma che “lo studio è stato eseguito su UN topo”… A un anno dalla grande psicosi da mucca pazza, in questi giorni è stato tutto un susseguirsi di annunci. L’annuncio della prima giovane vittima italiana della malattia (in Francia sono cinque, e cento in Inghilterra). L’annuncio (Report, RaiTre, domenica 7 marzo) che l’emergenza “mucca pazza” è tutt’altro che terminata. L’annuncio che la Gran Bretagna potrebbe vietare il consumo di carne di pecore, teoricamente anche loro a rischio di morbo della mucca pazza (misure prese dagli esperti del comitato encefalopatie spongiformi che hanno appena pubblicato le loro raccomandazioni). L’annuncio (pubblicato la scorsa settimana su “Panorama” dal bravissimo Gianfranco Bangone) che la BSE non si trasmetterebbe dalla mucca al vitellino – e che perciò tutti i casi di mucche malate sarebbero ascrivibili a comportamenti scorretti degli allevatori o dei produttori di mangimi… Tutti annunci preoccupanti. Intanto mangiamo. Stefano Carnazzi