Se trascorriamo la serata con loro è perché ne abbiamo veramente il desiderio”. La lettura si configura davvero come una forma di amicizia, nella misura in cui si prende cura dell’anima, la nostra parte più fragile, ma anche più vera, più segreta, più preziosa, alimentandola dall’interno e fornendole quell'”oro interiore”, che le permette di provare sentimenti duraturi, di accedere a mondi alternativi a quelli della produttività, di maturare vivacità esistenziale e autonomia di giudizio, che sono propri della “vita buona”. Spesso le nostre solitudini, le nostre difficoltà di fronte alla complessità, i nostri dubbi paralizzanti di fronte alle innumerevoli alternative dell’esistenza nascono proprio da un cattivo o, addirittura, inesistente rapporto con la viva carne dei libri, preziosi scrigni di vita, potenti amici immateriali, pronti a condurci in terre più rassicuranti e più autentiche. Il rapporto con i libri è, tuttavia, genuino, quando si instaura con essi un dialogo fecondo e fecondante, espressivo di indipendenza di giudizio, di interiorizzazione personale, di articolazione dialettica tra chi scrive e chi legge. Seneca, sui giovamenti della lettura, ci offre alcuni ineludibili suggerimenti: “Devi acquistare dimestichezza con autori scelti e nutrirti di essi, se vuoi trarne qualcosa che rimanga stabilmente nell’animo…. Chi passa la vita in un continuo vagabondaggio, troverà molti ospiti, ma nessun vero amico. Così è necessario che capiti a chi non si applica con assiduità allo studio di nessun autore ma tutti li scorre in fretta”. Dunque, continua Seneca, non bisogna passare da un libro all’altro, con “fuggevole contatto”, ma nutrirsi degli autori migliori, quelli che ci sembrano poter veramente curarci l’anima e darci stabilità interiore; infine, conclude Seneca, “dopo aver letto molto, scegli un pensiero che tu possa assimilare in quel giorno”. Il rapporto tra lettura e vita è così suggellato in modo esemplare. Fabio Gabrielli