Le radici della medicina tibetana, che tuttora si avvale dell’utilizzo di amuleti e riti magici, risalgono alle credenze e tradizioni popolari dello sciamanesimo prebuddhista e della religione del Bon. Un dottore tibetano quando fa una diagnosi ricerca i sintomi che segnalino affezioni del respiro, della bile e dell’apatia. Dopo aver svolto un esame generale, controllando la temperatura, il colore, le condizioni della pelle e le parti malate, si concentra sull’analisi degli organi di senso, delle secrezioni e delle escrezioni del paziente. Tra i metodi di diagnosi più utilizzati, sono particolarmente importanti l’osservazione della lingua, quella dell’urina e la palpazione del polso e della mano. Secondo la medicina tibetana, le diverse parti in cui può essere suddivisa la lingua corrispondono ad altrettante aree del corpo che possono quindi essere studiate attraverso l’analisi del colore, della superficie e della qualità della lingua. Attraverso la pressione della mano o del polso, inoltre, vengono esaminate le funzioni degli organi interni (distinti in solidi e cavi) in rapporto con il respiro del malato. Una volta compresa la malattia, le terapie adottate consistono in compressioni, bagni, massaggi, salassi, cauterizzazioni e chirurgia minore. Gabriela Manzella