Dopo più di un quarto di secolo dalla prima edizione di questo libro, molti abitanti dei paesi industrializzati ignorano ancora i metodi con cui viene prodotto il cibo che mangiano, e non è certo un caso: i produttori di carne e di uova si adoperano con ogni mezzo perché la situazione non cambi. Recentemente una troupe televisiva americana, incaricata di realizzare un programma a me dedicato, ha proposto di riprendermi, mentre discutevo di liberazione animale, con alcuni animali sullo sfondo. “D’accordo” ho risposto “ma non voglio inquadrature con cani o gatti in braccio, perché non dev’essere questa l’immagine della liberazione animale. Mostriamo invece come vivono altri animali, riprendiamo le galline o i suini in batteria di un tipico impianto di allevamento”. “Benissimo” hanno commentato, aggiungendo che avrebbero contattato alcune fattorie del New Jersey, dove mi trovavo per lavoro, e che mi avrebbero informato non appena avessero individuato il luogo adatto. Una settimana dopo mi hanno richiamato, ammettendo il proprio insuccesso: nessuno degli allevatori interpellati aveva concesso loro l’autorizzazione a filmare. Si erano persino rivolti all’Animal Industry Foundation, una lobby favorevole allo sfruttamento degli animali, secondo la quale gli allevatori americani non hanno a di cui vergognarsi per le condizioni di vita del bestiame: ebbene, persino questa organizzazione non ha trovato un solo allevatore disposto ad accogliere la troupe. Negli anni novanta gli europei hanno conosciuto più da vicino l’industria alimentare grazie al morbo della mucca pazza e all’afta epizootica. La prima ha insegnato loro che le fiabe che leggono ai propri figli sono ormai obsolete: le mucche non mangiano soltanto erba, e ormai non sono nemmeno erbivore. Per aumentare l’apporto proteico della loro dieta vengono alimentate con i resti triturati di animali macellati. Mentre l’epidemia di afta epizootica dilagava in Gran Bretagna, ogni sera il telegiornale mostrava alla gente l’uccisione di centinaia di migliaia di animali che, presumibilmente, avevano contratto la malattia (nella maggior parte dei casi si trattava di forme poco gravi ma che, se non fossero state debellate, avrebbero messo in ginocchio l’esportazione di carne del paese). Ciò a cui la gente ha assistito in quell’occasione è la dimostrazione inconfutabile che i moderni sistemi di allevamento trattano gli animali come oggetti, come semplici mezzi per realizzare i fini dell’uomo, senza riconoscere loro alcun altro scopo autonomo. Dopo questi avvenimenti molti hanno preso contatto con i gruppi animalisti e le organizzazioni vegetariane, alla ricerca di alternative ai prodotti animali. Diventare vegetariani è una decisione giusta, indipendentemente da quando viene presa: ma prima che la popolazione fosse testimone di tutte quelle uccisioni, che cosa credeva succedesse agli animali di cui si cibava? Pensava che morissero di morte naturale? Stupisce che abbia impiegato tanto a capire la vera natura dell’industria animale moderna.