Il 90% degli italiani si sente “costretto” a usare l’auto a causa del trasporto pubblico poco efficiente e di una cattiva pianificazione urbanistica.
Produrremo biodiesel dai rifiuti?
Produrre biodiesel dalla frazione organica dei rifiuti raccolti con la differenziata. Ecco il risultato della sperimentazione condotta dall’azienda di trasporti pubblici di Verbania.
Si è conclusa la prima fase del progetto per la produzione di diesel ricavato dalla frazione organica dei rifiuti. Voluto dalla
VCO Trasporti, azienda attiva nel settore del trasporto pubblico locale nella provincia del Verbano Cusio Ossola, si tratta
della primo esempio in Italia nel quale un’azienda di trasporto pubblico diventa un laboratorio di sperimentazione per carburanti
alternativi e non provenienti da fonti fossili.
Di autobus alimentati a biodiesel, gas, ibridi o addirittura
elettrici ne circolano già nel nostro Paese, ma in questo caso
si è trattato di sviluppare un’intera filiera locale
per la produzione di carburante da rifiuti, raccolti con
la differenziata.
Il progetto ha visto la collaborazione di organismi di ricerca come
il GreenLab
(laboratorio qualificato dal Ministero dell’Istruzione,
Università e Ricerca) e Nanoireservice
(società a cui fa riferimento il NisLabVCO, laboratorio di
ricerca nel campo delle nanotecnologie e della scienza dei
materiali operativo presso il Tecnoparco del Lago Maggiore a
Verbania-Fondotoce).
Si prevede così di ottenere il biocarburante ricavandolo dalle
12.000 tonnelate di rifiuti organici raccolti ogni anno utilizzando
prevalentemente un processo definito pirolisi. Da qui si
passerà alla raffinazione per trasformarlo in quello che viene
chiamato appunto “greendiesel”.
La pirolisi è un processo termochimico
utilizzato per decomporre i materiali organici e che si sviluppa
portando in temperatura (450-600 °C) il materiale organico in
assenza di ossigeno. In questo modo è possibile ricavare un
bio-olio che possiede un elevato potere calorifico e – come testato
dal laboratorio verbanese NisLabVCO – una composizione chimica che
si conferma idonea alla successiva fase di
raffinazione.
I vantaggi di questa sperimentazione, una volta utilizzata su larga
scala, sono evidenti. Oltre alla riduzione dei costi per l’acquisto
di carburante da parte dell’azienda, saranno quelli ambientali ad
avere maggior risalto: si utilizzerebbe una fonte energetica
proveniente da rifiuti, senza togliere spazio alle colture
alimentari, oltre ad avere una cospicua riduzione delle
emissioni di CO2 e dell’inquinamento da polveri sottili.
Continua così la corsa verso l’introduzione di carburanti
alternativi per favorire il raggiungimento degli obiettivi imposti
dall’Ue, il 20-20-20. La strada intrapresa sembra quella buona.
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