SPECIALE Dalla parte delle mucche

Le mucche non stanno tanto bene negli allevamenti moderni.

Spesso si ammalano (per le condizioni-limite in cui vivono) e
perciò vengono sottoposte a terapie antibiotiche senza
requie: agli esami si rileva un’incidenza elevata di lesioni
muscolari dovute all’uso di sostanze xenobiotiche. Insomma, vengono
dati loro troppi farmaci.

La dipendenza della zootecnia dall’industria farmaceutica ha molti
riflessi negativi:

  • sofferenza e patologie iatrogene (drivanti da abusi di farmaci)
    negli animali;
  • residui pericolosi negli alimenti d’origine animale;
  • gravi rischi epidemiologici per selezione microbica
    (resistenza);
  • alterazioni del processo di depurazione con peggioramento
    dell’inquinante;
  • rischi mutageni per i principi emessi nell’ambiente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ripetutamente
messo sotto inchiesta i residui di certi farmaci veterinari nella
carne. In Italia, è matematicamente certo (lo dimostra la
sproporzione tra le ricette “ufficiali” e il numero di animali:
solo 5 ogni 100) che i farmaci vengono acquistati sul mercato nero
per non doverne segnalare l’uso. Poi, poco prima della
macellazione, viene somministrato agli animali un fortissimo
diuretico che cancella le tracce delle sostanze illegali.
Non ci sono solo iniezioni di farmaci, però. I trattamenti
con ormoni sicuramente non sono stati interrotti. In America i
trattamenti con ormoni non solo sono ammessi, ma incoraggiati:
zeranolo, estradiolo, testosterone, progesterone, trenbolone
acetato sono in continua sperimentazione e inoculati in vitelli,
mucche e tori. Riescono a farli crescere più velocemente del
50%. Perciò l’Europa continua a tenere le proprie frontiere
chiuse all’importazione di carne made in Usa. Secondo il Comitato
Scientifico dell’Unione Europea anche dosi infinitesimali di queste
sostanze usate dagli allevatori danneggiano la salute umana,
innescando tumori e alterando le risposte del sistema
immunitario.
Nei mangimi per gli animali, oltre alle famigerate “farine animali”
può davvero esserci ogni genere di rifiuti: carogne di
animali, scarti dell’industria di trasformazione, lettiere o
escrementi animali, residui della lavorazione dello zucchero,
dell’olio, paglia trattata con ammoniaca, olii esausti di motori,
addirittura i reflui inquinanti delle distillerie di whisky e di
gin; in Francia finivano nei mangimi le acque nere, bollite, delle
puliture dei macelli e delle stalle, “condite” con gli scarti della
spremitura a caldo dei resti dei macelli. Il mais, che nella dieta
dei poveri bovini ha sostituito il più costoso fieno,
fermenta nel loro colon e favorisce la proliferazione di batteri,
causa di pericolose infezioni. Nelle città non dotate
d’inceneritore, diventano “farine per animali” le carcasse di
animali raccolti dalla Nettezza Urbana (cani e gatti randagi, topi,
ratti e pantegane). Addirittura, potrebbero essere reimmesse (con o
senza il consenso dell’ASL) nel mercato dei sottoprodotti (art.5
c.1 del D.lgs suddetto) le carni e i derivati sottoposti a
trattamenti vietati! Così, nei grassi degli animali
s’accumulano diossine, pesticidi e metalli pesanti come cadmio,
piombo, arsenico e cromo.

C’è anche il problema dell’importazione illegale di carne.
Carni clandestine, che, per evitare l’Iva, sfuggono a qualunque
accertamento sanitario. E dal Triveneto gli allevatori fanno sapere
che il 10% della carne importata è al clembuterolo. Dal
momento che importiamo circa il 50% della carne bovina che
consumiamo, il problema ha dimensioni preoccupanti. Non
allarmistiche, ma preoccupanti. Dice Vincenzo Dona, segretario
generale dell’Associazione consumatori che ha elevato frequenti
proteste, senza però ottenere risultati apprezzabili: “I
controlli sono inadeguati, e fanno acqua più di una bistecca
al cortisone”. Ma anche nell’importazione legale il controllo
è possibile solo sulle mezzene, non sulla carne pezzata e
confezionata che finisce sul banco di macelleria.
Infine, lo stress innaturale e perpetuo causa un accumulo di
adrenalina che poi impregna le carni. Motivi dello stress? Le
condizioni di vita, l?alimentazione forzata, gli interminabili
trasporti di ore e giorni con carri bestiame fermi alle frontiere o
nei porti senza acqua, niente riposo, niente riparo dal sole
torrido o dalla pioggia. Nessuna speranza. Tranne una: in un futuro
con meno carne – o con un allevamento più sano.

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