La storia del Tibet al VII secolo d. C., al tempo del re Sron-btsan-sgam-po il quale, unendo le tribù che vivevano nell’altopiano, fondò il primo regno tibetano. Per due interi secoli, il Tibet dominò la storia dell’Asia e raggiunse il suo culmine durante la reggenza di Songtsen Gampo (618-649) e quella di K’ri-sron-lde-btsan (755-797) che determinò anche l’indirizzo religioso del paese: il Buddhismo. Le controversie sorte riguardo a quale strada dovesse imboccare il buddhismo portarono al crollo dello stato tibetano (842) che rapidamente si spaccò in numerosi principati in guerra tra loro finché, con l’invasione dei Mongoli (Genghis Khan 1239), il potere dei monaci tibetani prese il sopravvento e svolse una funzione fondamentale per circa 400 anni. Successivamente, l’incapacità delle autorità tibetane, la consapevolezza dei cinesi della minaccia costituita dai rapporti esistenti tra il Tibet e i Mongoli, il disaccordo tra le fila degli alleati mongoli e il desiderio della Cina di estendere il proprio dominio sul Tibet portarono verso un profondo cambiamento. Dal 1644 al 1912, la Cina iniziò a farsi strada, politicamente ed economicamente, sul territorio tibetano ponendo le basi per l’invasione di 50 anni fa. Il “protettorato” voluto dalla Cina durò fino alla caduta dell’Impero Cinese (1912) e, dopo un pallido tentativo di mantenere una precaria indipendenza, nel 1950 il Tibet fu definitivamente invaso dai cinesi e riordinato secondo i principi marxisti. Solo con la morte di Mao (1976), i cinesi iniziarono a rendersi conto che il loro atteggiamento verso il Tibet aveva preso un indirizzo sconveniente: il rischio di una rivolta era costante e mantenere l’ordine sull’altopiano implicava continue uscite dalle casse di Pechino. Il successore di Mao (Hua Guofeng) quindi, decise di ammorbidire la linea facendosi promotore del recupero delle tradizioni tibetane. I primi anni ’80, videro così il ripristino della libertà dei culti ma, contemporaneamente, una massiccia immigrazione della dinastia degli Han che condusse alla “cinesizzazione” dell’altopiano. Nel 1986 una nuova ondata di stranieri si riversò nel paese e, nonostante gli sforzi compiuti dal Dalai Lama (il 14°) al fine di ottenere pace e libertà per il suo popolo, il controllo economico cinese, insieme alla forte presenza d’immigrati Han, spingono tuttora i tibetani ad abbandonare la loro patria e rendono il sogno d’indipendenza del Tibet ancora più difficile da realizzare. Gabriela Manzella