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Si chiama FutureShack la casa rifugio per emarginati e sfollati disegnata da Sean Godsell, architetto new wave di Melbourne dalla grande sensibilità
Suo padre è stato uno dei più grandi architetti
australiani, lui ha solo quarantaquattro anni ma è
considerato tra i più importanti e innovativi progettisti.
Non ama l?establishment, è geniale, ha un talento che spazia
a trecentosessantagradi e ha già collezionato numerosi
riconoscimenti e premi internazionali.
Il tema prevalente e centrale del suo lavoro è
un?architettura essenziale che nasce da una creatività
tecnica di collage di motivi approfondita attraverso lo studio
delle tradizioni abitative giapponesi, indiane, del Sud Pacifico e
della sua stessa Australia, e da una costante ricerca sui percorsi,
sui materiali e sulla luce. Ma ciò che fa di Sean Godsell un
architetto davvero speciale è la sua sensibilità per
il sociale, un sincero interesse per i diseredati e gli sfortunati
della terra. Ha tradotte le sue competenze, insieme alle doti umane
e ad uno spiccato senso della praticità nella progettazione
di soluzioni d?intervento abitativo a favore di coloro che per i
motivi più disparati (guerre, calamità naturali,
povertà) non hanno più una casa: rifugiati, vittime
di guerre, di disastri naturali, homeless.
Così nel 2002, Architecture for Humanity lo ha premiato
per FutureShack, un progetto di abitazione mobile per situazioni
d?emergenza di bassissimo costo. Si tratta di una sorta di
container trasformato in unità abitativa interamente
autosufficiente, anche dal punto di vista idrico, e termicamente
isolata. FutureShack è economica, robusta e durevole nel
tempo, è equipaggiata con bagno, cucina e mobili a
scomparsa, con
pannelli solari sul tetto per essere autonoma dal
punto di vista energetico e con sistemi di comunicazione sistemati
all?interno. E’ realizzata con materiale
riciclabile e si può montare e smontare in 24
ore. E’ facilmente trasportabile ovunque, anche su strada, e
può essere utilizzata in caso di inondazioni, terremoti,
incendi, disastri naturali, ma anche come abitazione provvisoria e
rifugio di fortuna. Si tratta ovviamente del lavoro di un
architetto che tenta di soddisfare un bisogno sociale in un
contesto di emergenza immediata, dunque, pur nella sua
versatilità, è un?architettura che richiama i bisogni
piuttosto che i desideri.
Parole sagge quelle di Sean Godsell, quando sostiene che da
sempre l?architettura ha soddisfatto i gusti dei ricchi, ma ha
finito col trascurare i bisogni dei più sfortunati, e
aggiunge che gli architetti dovrebbero riscattarsi ridisegnando il
proprio ruolo soprattutto in quelle società in cui la
libertà è stata strappata con la forza, in quei
luoghi dove la natura ha devastato intere città e dove la
guerra ha portato distruzione e povertà. Anche gli
architetti hanno dunque una responsabilità, quella di
provvedere a realizzare soluzioni adeguate per offrire un tetto
adatto e funzionale alle esigenze di coloro che non ne hanno
più uno o che addirittura non l?hanno mai avuto. Nel 2002 un
prestigioso magazine inglese, Wallpaper, lo ha inserito tra le
dieci persone destinate a ? cambiare il nostro modo di vivere?.
Sempre più progettisti e architetti si interessano di
problemi umanitari e traducono in strutture funzionali progetti che
hanno un significato immediato per le comunità. E
sarà stato anche per il bisogno di riscatto e di impegno
sociale che, al concorso del 2002 promosso via web da Architecture
for Humanity per la costruzione di un ospedale mobile per i malati
di Hiv in Africa, hanno partecipato ben oltre 500 studi
professionali.
Maurizio Torretti
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