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Quando il lusso impoverisce la bellezza
Estetica ed etica, come ci hanno insegnato i Greci, non sono affatto disgiunte, bensì si sintetizzano nella giustizia, di cui il lusso moderno è totalmente dimentico.
Il termine greco “kalokagathía”, “bello e buono”,
indicava a tutto tondo la strutturale connessione tra etica ed
estetica, tra giustizia e bellezza, la capacità di
contemplare, e ricostituire qualora fosse colpevolmente spezzata,
l’armonia tra le parti; ovvero la capacità di cogliere
l’intero, il cosmo come espressione di giustizia, ordine,
bellezza.
La modernità ha, di contro, creato una frattura tra
estetica ed etica, per cui il bello è diventato,
nell’età del produttivismo, dell’efficienza, dell’utile come
fine ultimo, lusso o passatempo, iperspecialismo o fruizione
meccanica, impersonale, di massa.
A queste tematiche ha dedicato un penetrante saggio Luigi Zoja,
“Giustizia e bellezza” (edito da Bollati Boringhieri), dove, tra
gli altri argomenti, viene affrontata con vigore argomentativo e
lucidità concettuale la degenerazione moderna della bellezza
nel lusso.
Alla piazza, dove abitava in origine la bellezza, la cui
fruizione era democratica, condivisa, si oppone, nella
modernità, l’esclusività del lusso che, essendo per
sua natura non condivisibile, impoverisce la bellezza e la pubblica
possibilità di fruirla. Si tratta di un atto di ingiustizia,
di un’indebita frattura tra etica ed estetica.
Ma leggiamo la puntuale testimonianza di Zoja:« Si
è dimenticato che lusso da sempre ha significato
“patologia”: qualcosa di “deviato”. Il latino “luxus” vuol dire
“fuori posto”, la stessa parola significava sia “lusso” sia
“lussato”. Qualcuno, certo, potrà ancora trovare bellezza
all’interno del lusso, ma sarà un suo compito individuale.
La società della griffe propone qualcos’altro.
La bellezza si radicava in gran parte nella piazza: gustarla
richiedeva condivisione. Il lusso è, appunto, “esclusivo”:
gustarlo significa suscitare invidia, escludere gli altri. È
un impoverimento senza precedenti nella storia, che non è
affatto compensato dall’avere più oggetti o servizi.
Un’ingiustizia commessa verso una porzione sempre maggiore della
popolazione, e verso la bellezza stessa. L’ingiustizia estetica
diventa un problema di giustizia, un capitolo morale».
Fabio Gabrielli
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