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Roberto Pinton: “Abbiamo diritto al biologico!”

Biologico: ci possiamo fidare? Una delle domande più frequenti.

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Biologico. Ci si può fidare?
Sono molte le garanzie. Andiamo per ordine.
Uno. Le aziende aderiscono volontariamente, solo se vogliono
produrre secondo i metodi dell’agricoltura biologica, senza concimi
chimici, pesticidi, Ogm. Nessuno le obbliga a pagare, lo
scelgono.
I controlli, a carico di privati, sono aggiuntivi a quelli
pubblici. Mentre in aziende convenzionali passano anni prima che si
effettui un controllo, in quelle biologiche si svolgono in media
1,4 controlli all’anno, e nell’ultimo anno ci sono state 24.000
ispezioni in piu di quelle previste per legge.
Inimmaginabile che le Asl possano svolgere lo stesso compito sul
territorio!
Due. Nelle commissioni di certificazione sono presenti i
rappresentanti delle Associazioni di consumatori. E’ una prassi.
Nessuna associazione si farebbe garante di un prodotto fasullo, a
meno che si tratti di una cospirazione nazionale…
Tre. Quasi tutti gli enti certificatori (9 su 12) sono accreditati
dal Sincert che è l’authority in materia di certificazione,
un organismo pubblico/privato, lo stesso che accredita il marchio
IMQ, socio italiano della IAF – International Accreditation
Forum.
Quattro. I prodotti biologici italiani possono andare in tutto il
mondo. Gli organismi di controllo si accreditano anche negli USA,
con lo USDA, e in Giappone: i prodotti bio italiani hanno la
conformità agli standard di legge giapponesi. I governi
stranieri, Francia Svizzera, Canada e Tunisia, riconoscono validi e
affidabili i nostri sistemi di certificazione.

Un’apertura al mondo che dà lo spunto per parlare di una
nuova realtà mondiale: il commercio equo e solidale, con
sempre più prodotti biologici.

Se un prodotto è biologico ed è equosolidale è
il massimo che si possa pretendere. Ma ora si sta facendo anche di
più: la pasta LiberaTerra, prodotta in Italia nei terreni
confiscati ai boss mafiosi, viene esportata in Costa Rica, da cui
il circuito del commercio equosolidale importa prodotti locali. Uno
scambio nei due sensi. I Paesi del Sud del Mondo diventano partner
commerciali a tutti gli effetti.

Secondo i dati FAO, tutt’oggi ci sono 840 milioni di persone che
rischiano di morire di fame…

Dire che il biologico non può sfamare le popolazioni
più povere è falso. I veri problemi sono sociali e
politici. La fame nel mondo non ha a a che fare con aspetti legati
alla sfera produttiva. Si muore per le guerre, l’Aids, per mancanza
d’acqua, e l’autosufficienza alimentare di questi Paesi non si
ragguinge perché esportano gran parte di ciò che
producono per pagare debiti di vecchie guerre… Chi lavora sul
posto sa che non si muore di fame perché non ci sono
prodotti da mangiare.

E a proposito di fame nel mondo. Gli Ogm sono la
soluzione?

Gli Ogm di sicuro non alleggeriscono le problematiche, ma le
appesantiscono obbligando i coltivatori ad acquistare prodotti
brevettati, le sementi…

Si parla, anche in Italia, di tollerare la coltivazione di
piante Ogm, anche vicino a quelle naturali o, peggio,
biologiche…

Impraticabile. Non è possibile non solo con il bio, ma con
l’agricoltura in genere. Neanche in piccola percentuale. Se si
decide di tollerare lo 0,1 per cento di semi Ogm, o di piante
transgeniche, è 1 su mille. In un ettaro di mais vuol dire
70/80 piante. Basta una pianta Ogm per contaminare nel giro di 3
km. Quindi nemmeno ridurre al minimo le percentuali tollerate rende
possibile la coesistenza. La potenzialità infettica delle
piante è enorme.
Dove già su larga scala si usano Ogm (in Usa) accadono cose
drammtiche, le aziende bio hanno raddoppiato i costi, inventato
aree tampone, e nel 20% dei casi il loro prodotto è
contaminato.
Il professor Paolo Sequi dell’Istituto Sperimentale per la
Nutrizione delle Piante ha dichiarato in un’udienza al Senato che i
residui di Ogm, di materiale genetico, nelle radici persistono nel
suolo a tempo indeterminato.
Ci stiamo portando in casa una minaccia aliena. Impensabile.

Il futuro del biologico?
Il bio sta crescendo, anche se cresce più lentamente di una
volta. Si cresceva del 100, ora del 21%, ma si cresce. Un dato
sempre positivo, specie se confrontato col settore convenzionale
(che perde).
Se nell’85 a fare yogurt bio c’era solo Scaldasole, oggi sono in
100 a farlo, e anche se il mercato è aumentato
esponenzialmente, le quote di mercato sono minori. Perciò
è nata una politica dei prezzi saggia. E oggi si ha successo
solo se il prodotto è di elevatissima qualità, se
l’azienda fa informazione, tracciabilità… non è piu
il settore in cui entra chiunque. Fortunatamente. Nessuno di noi,
quando ha iniziato a fare biologico, aveva il sogno il rimanere una
piccola consorteria, che nutrisse i frequentatori della Ciotola e
di Risomisoconsorriso.
A spingerci era il sogno del cambiamento dell’agricoltura.
Oggi, grazie alla grande distribuzione abbiamo avvicinato molti
altri consumatori, consumatori abituati al convenzionale e per ci
quali è necessaria la buona qualità: i produttori bio
sono selezionati, i prodotti confezionati bene, e garantiti. Il
costo è maggiore?
Si ripaga con la qualità dell’ambiente, della vita. L’anno
scorso all’Università Bocconi è stato presentato un
dato sull’inquinamento. Se si fosse praticata nell’area lombarda
studiata l’agricoltura biologica, le spese per disinquinare i pozzi
dell’acquedotto sarebbero state 40 volte inferiori.

C’è qualcosa che ognuno di noi può fare, subito,
per migliorare?

Una raccomandazione. Esiste una legge nazionale, la 488/99, che
obbliga i Comuni e gli Ospedali a usare quotidianamente nei menu
delle mense pubbliche “prodotti biologici, tipici e tradizionali”.
Su 8109 comuni italiani, sono circa 500 i comuni che rispettano
questa legge.
I genitori possono richiedere al loro Comune che inserisca prodotti
bio nella mensa scolastica. Anche perché i dati dicono che
metà della frutta e della verdura oggi in commercio non
è idonea al consumo da parte dei bambini, a causa dei
residui di pesticidi.
Con il cibo bio l’assenza di pesticidi è una certezza. E,
per i nostri bambini, è un diritto sancito per legge!

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