
Durante l’estate non solo spiaggia e sole. Ogni anno biologi, veterinari e volontari si incontrano per difendere e monitorare una delle specie più affascinanti del mare.
Secondo i dati ufficiali solo il 14.3% delle coste italiane non è balneabile. Un dossier scritto da WWF e Legambiente racconta un altro scenario
Secondo i dati ufficiali raccolti dal Ministero per la Salute, su un totale di 7375 km di coste italiane, soltanto 405 km, la maggior parte dei quali in Campania e Lazio, non sono balneabili per inquinamento di nitrati, colibatteri, ammoniaca e altro. Di 1057 km (14,3%) non si conosce lo stato perchè non sono stati fatti dei prelievi, 5017 km di coste italiane sono state controllate e sono risultate balneabili. Un buon risultato.
Le associazioni ambientaliste la pensano diversamente. Della Seta di Legambiente: “Le analisi riportate dal rapporto non sono da considerarsi esaustive. I monitoraggi infatti prendono in considerazione batteri e un piccolissimo gruppo di sostanze chimiche, mentre resta fuori tutto un insieme di sostanze – dagli idrocarburi ai metalli pesanti passando per altri veleni, quali per esempio l’arsenico – che possono dare un quadro più esaustivo della salute delle nostre acque”.
Infatti in un dossier presentato da Wwf e Legambiente due mesi fa, emerge un’altra realtà. Si basa su campionamenti delle acque e sedimenti costieri raccolti dalle Arpa (Agenzie regionali protezione ambiente) nell’arco degli ultimi tre anni ed è il primo monitoraggio ambientale nel nostro Paese che copre tutta la costa, in modo omogeneo sia per le modalità di campionamento, sia per i metodi di analisi. Legambiente e Wwf hanno elaborato sui dati forniti 12 inquinanti di estrema attualità: 6 metalli (arsenico, cadmio, cromo totale, mercurio, nichel e piombo), 2 idrocarburi (Ipa, idrocarburi policiclici aromatici totali e il benzoapirene), due pesticidi (Aldrin e Ddt), i Pcb (policlorobifenili), il tributilstagno (Tbt).
Ne è venuto fuori che non soltanto nelle aree critiche, in prossimità di attività industriali attuali o passate, i risultati sforano spesso alla grande i limiti di legge. Anche i parchi marini e le zone prottette non sono risparmiate: a Capo Rizzuto, uno delle aree marine prottette più belle, i limiti sull’arsenico risultano superati tre volte su tre, mentre a Punta Licosa si contano cinque superamenti su cinque prove. A Cattolica, dove le fonti d’inquinamento sono poche, i superamenti del tasso di nichel riguardano tutti e cinque i campionamenti effettuati, con punte che superano anche del doppio il limite di legge! Il quadro di quasi tutta la costa risulta molto problematico.
Secondo una recente ricerca americana, condotta dal Center for defends information, il mare adriatico è una pattumiera nucleare. Centinaia di bombe all’uranio impoverito, sganciate da aerei americani durante la guerra nel Kosovo, si troverebbero in fondo al mare tra la costa italiana e quella croata. Nonostante varie denunce e allarmi, tra l’altro da parte dell’Ordine dei medici di Padova, non esistono misurazioni riguardo la presenza di radioattività nelle acque e nei prodotti ittici. Si tratta di analisi abbastanza costose, che non possono essere eseguite che da enti statali. Quando sapremo se facciamo il bagno in acque all’uranio impoverito e se mangiamo pesce radioattivo?
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