
Con la decisione di proteggere 400mila ettari del Grand Canyon dalle compagnie minerarie, il presidente degli Stati Uniti inizia un’opera di rammendo di una politica ambientale finora contraddittoria.
Siamo tante piccole voci, ma tutte insieme facciamo rumore, molto rumore. E il tempo rimasto per darci una risposta è poco, molto poco. Questa l’immagine fotografata dai presidenti dei piccoli stati isola nel corso dell’ultima Assemblea generale dell’Onu che si è svolta a New York.
I rappresentanti dell’Alliance of Small Island States(Aosis), ovvero degli stati isola presenti nel Pacifico come nei Caraibi, hanno unito le loro voci per protestare, ma soprattutto per chiedere aiuto alle Nazioni Unite e ai paesi industrializzati. Per cosa? Per sostenerli negli sforzi volti a contenere i danni dei cambiamenti climatici. In particolare degli uragani, sempre più forti e frequenti, e dell’innalzamento del livello dei mari, già in atto. Va ricordato che, secondo le previsioni dell’Ipcc, entro fine secolo i mari dovrebbero crescere anche di 95 centimetri.
Da qui l’urgenza e il cambio di tono e di richieste da parte dei presidenti degli stati aderenti all’Aosis. Niente più (solo) politiche volte a mitigare le emissioni di CO2, ma fondi e azioni concrete per salvare gli arcipelaghi a rischio oggi e nel prossimo futuro. Per il presidente di Nauru, Marcus Stephen, i cambiamenti climatici non sono più solo una questione ambientale, ma un problema per la pace e la sicurezza dell’intera comunità internazionale: “Per prima cosa il segretario generale dovrebbe nominare un rappresentate speciale per il clima e la sicurezza. Poi dovrebbe valutare la capacità dell’Onu di rispondere ai probabili impatti sulla sicurezza interna degli stati”.
“Molti ragazzi vanno a dormire ogni notte con la paura che qualcosa possa accadere alla propria casa, soprattutto nei periodi di alta marea”, ha aggiunto il presidente di Kiribati Anote Tong.
Insomma, il tempo delle parole e delle promesse è finito. Ora è il momento di agire e in fretta. La Conferenza delle parti che si svolgerà a fine novembre a Durban, in Sudafrica, dovrà trovare una soluzione a tutto questo. Anche se Kyoto non riuscirà a trovare un degno successore, da qualche parte bisognerà ricavare lo spazio per ascoltare il coro di voci che chiede con insistenza una scialuppa a cui aggrapparsi.
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