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A Lhassa, capitale del Tibet, lontani dai loro villaggi per quattro semestri alcuni piccoli allievi, grazie ad un sistema capace di adattare la scrittura in braille alla lingua sillabica tibetana, imparano a leggere e a scrivere.
Il sistema è stato ideato da Sabriye Tenberken, la stessa
persona che con caparbia generosità, in un paese dove i
numerosi non vedenti sono da sempre emarginati, ha voluto dare a
Tenzin e ai suoi compagni la speranza di un futuro dignitoso. Qui
nella scuola di Lhassa voluta da Sabriye, gli allievi imparano a
rendersi autonomi, a confrontarsi con gli altri non vedenti.
Durante le ore di svago, li si può vedere cantare, danzare,
giocare con palloni riempiti di chicchi di riso o plasmare sculture
di tsampa, pasta d’orzo tostato e burro di yak, usata anche come
base della cucina tibetana.
Sabriye Tenberken, conosce bene la cecità: l’ha affrontata
fin da bambina dopo aver progressivamente perso la vista. Molto
impegno ha dedicato allo studio della tibetologia, della lingua
tibetana classica e moderna, per poi attraversare il Tibet con
l’ostinata volontà di conoscere le condizioni di vita dei
non vedenti per fare qualche cosa per migliorarle.
Lo si deve a lei, a Paul Kronenberg, il suo compagno e a tutti
quelli che collaborano al Project for the blind, se la scuola di
Lhassa oggi è una realtà e se altri progetti sono in
cantiere. Tenzin e compagni si preparano ad un futuro in cui
potranno studiare l’arte del massaggio della medicina tradizionale,
le lingue, l’informatica?
Sabriye ha raccontato tutto questo nel libro Mon chemin mène au Tibet. Les
Enfants aveigles de Lhassa, svelandoci tanto anche della
quotidianità di un non vedente. Di come ogni tipo di
percezione, fino alle impercettibili variazioni di calore, gli
offrano preziose indicazioni per orientarsi nello spazio o di come
sedendo davanti ad un paesaggio incantevole, sentire dei dettagli
possa dargli un’idea precisa di cosa ci sia intorno.
Graziella Ceruti
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