Viaggio verso Nairobi

Ero immerso in queste domande durante un mio viaggio per raggiungere Nairobi. Provenivo da un piccolo villaggio distante un paio d’ore dalla capitale

Ero immerso in queste domande durante un mio viaggio per
raggiungere Nairobi. Provenivo da un piccolo villaggio distante un
paio d’ore dalla capitale keniota, dove volevo recarmi per
trascorrere la Pasqua.
Viaggiare sui matatu i mezzi di trasporto locali, spesso
è difficile conversare per via della musica, quasi sempre ad
un volume elevato. In una canzone in Kiswahili, linguaggio a me non
ancora tanto familiare, avevo riconosciuto la parlola
undugo, che vuol dire appunto, solidarietà. Ma come
è che possiamo sperimentare la solidarietà?
Queste domande mi hanno accompagnato per buona parte del viaggio
senza però trovare una risposta convincente.

E’ il lunedi di Pasqua, il vangelo ascoltato durante la s. Messa
invitava a non cercare Gesù perchè è risorto,
cercatelo altrove non nel sepolcro. Cerchiamo sempre qualcosa dove
non si trova, sarà per questo che esiste il cercare.
Decido di andare a trovare mama Aghata, sarà più di
un anno che non la vedo.
Ricevere i miei auguri di una buona pasqua le farà un gran
piacere.
Vive nel più grande slum di Nairobi, a pochi km dalla city,
coi suoi palazzi e grattaceli, le banche e i centri commerciali, i
bellissimi parchi. Come tanti è venuta dal bush dove la vita
sembra la più difficile e dura, attratta dal miraggio della
metropoli, con le speranza di trovare un lavoro e una vita
dignitosa.
Ci siamo conosciuti anni addietro, uno dei suoi figli era uno
street boy, l’avevo aiutato, sua madre voleva conoscermi per
ringraziarmi. E’ nata così un’ amicizia disinteressata,
libera dal modo di pensare delle ns culture, fatta di conoscenza
reciproca, resa possibile dalla simpatia e dall’amore verso i
bambini. Non ricordo più quanti e dove sono i suoi figli non
ha importanza, in Africa i bambini sono tanti e, di tutti. E mama
Agata è una mamma e questo basta.

Chiedo ad un taxista quanto vuole per portami nello slum.
Accetta di contrattare il prezzo ad una condizione, non mi
accompagnerà dentro, il suo lavoro finirà ai bordi
della baraccopoli. Per me non fa differenza mama Agata vive appena
dentro, quattro passi a piedi non mi faranno male.
Gli slum, le baraccopoli, si assomigliano tutte, quelli delle
capitali africane,
come quelli del sud america.
Ci trovi lo stesso odore emanato dalle discariche, dalla fogne a
cielo aperto, dalle pozzanghere, dalla gomma bruciate.
Non ci si sente a nostro agio perchè ci si trova di fronte
ad una realtà senza veli. Non è tanto la miseria che
sconvolge ma il trovarsi a faccia a faccia con l’esistenza nuda e
cruda. Ci si sente co-creatori anche di queste situazioni.

Appena dentro riconosco subito la sua casa, non voglio chiamarla
baracca, per lei è una reggia.
La raggiungo sotto sguardi spenti dalla fame e dai fumi, qualcuno
mi chiama muzungo (bianco), qualcun altro mi chiede chi cerco, dove
vado.
Mama sembra che mi sta aspettando è già sulla soglia
mi abbraccia e bacia, invitandomi ad entrare.
Mi siedo sull’ unica sedia che c’è quando entra la piccola
Anne, l’ ultima figlia.
Anne forse non si ricorda di me, avrà circa quattro anni,
viene spontaneo prendere dalle mie tasche tre ovetti di cioccolato
che avevo comperato. Il suo grazie seguito da un sorriso non
concede replica, di corsa esce dalla porta chiamando: John,
boys.
In un attimo la raggiungono quattro ragazzi un po’ più
grandi di lei e una bambina, la piccola Zawadi, che siederà
alla sua sinistra.
Si siedono formando un cerchio, la piccola Anne consegna due ovetti
ai bambini più grandi. Lei dividerà il suo con la
piccolina.
Resto affascinato da quello che sta succedendo, dalla cerimonia del
donare e dividere quel poco che hanno fra di loro. Tre piccole uova
di cioccolato, per sei bambini.
Resto in silenzio di fronte a quella realtà ineffabile che
ti entra dentro rendendoti partecipe di una ricchezza esteriore mai
provata prima.
Cerco lo sguardo di mama Agata lo trovo, sorride e scuotendo la
testa mi dice: “Piero perché continui a non voler
ricordare?” “Quello che hai visto è naturale, è
l’essere naturale”. Avevo capito bene, aveva detto naturale e non
normale. C’è una bella differenza.
Ecco cosa era la solidarietà, ecco la risposta alle mie
domande di qualche giorno prima, lì nello slum di Kibera, a
Nairobi. La solidarietà è il cuore umano, la natura
dell’essere umano quando non è caduto nell’isolamento
dell’individualismo che ci obbliga ad essere egoisti per
sopravvivere. E’ il disfarsi di ogni egoismo che pretende di
presentare subito il conto da saldare per l’opera buona fatta. Non
dovrò più dimenticarlo.
Grazie mama Agata, grazie piccola Anne.

Piercarlo
Romanò

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