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Una breve riflessione sugli “spettacoli” che ogni estate si presentano ai nostri occhi. E l’importanza di preservarli.
Sono le 14 di una calda giornata d’estate di
fine Luglio. È quel momento della giornata che d’Annunzio in
una sua poesia descriveva come: “Bonaccia, calura, per
ovunque silenzio. L’Estate si matura sul mio capo come un
pomo che promesso mi sia… Perduta è ogni traccia
dell’uomo. Voce non suona, se ascolto. Ogni duolo umano
m’abbandona”.
Oggi il cielo è particolarmente terso, come non
lo vedevo da tempo. In pianura è difficile vedere
il cielo di questo azzurro, tranne dopo qualche temporale
primaverile.
Sto camminando verso il lago, situato sulle prealpi comasche. La
stradina in discesa è polverosa, è tanto che
non piove.
Arbusti e alberi formano una galleria che rinfresca l’aria ma non
fa scorgere la fine. Sono rovi con le more quasi mature, noci,
acacie.
Tutt’intorno c’è solo il canto di uccelli, alcuni dei
quali non riesco a riconoscere. Sono lì a sfornare stornelli
per le loro amate, come a dire: “guardatemi che bello sono,
guardate la mia terra, come è ampia e ricca!”.
È una gara di canto, anche per segnare marcatamente i propri
confini.
Arrivo in riva al lago e lo spettacolo che mi si presenta
davanti è…
Sconfortante!
Ovunque sono
abbandonati rifiuti di ogni sorta e genere, resti di
fuochi dov’è è stata bruciata pure la plastica (spero
non ci abbiano cucinato).
Lattine, sacchetti, bottiglie di vetro, tappi in alluminio. Devo
guardare per terra, per schivare gli ostacoli, piuttosto che
gustarmi le folaghe che nuotano a riva.
Allora capisco che il lavoro da fare è molto ancora.
È proprio da questi gesti che si deve iniziare. So che per
molti sono cose consolidate nei nostri gesti. Ma è un
cammino che per molti, forse troppi, è solo un miraggio.
La prossima volta che hai una succo di frutta in mano, magari
pensaci prima di buttarlo a terra.
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