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Delicate o dirompenti, repentine o stagnanti, ma comunque sempre fluide e mutevoli, le emozioni sono parte integrante della nostra natura umana, tanto quanto l’elemento acqua
Come l’acqua, le emozioni sono fonte di salute e vita quando il loro apporto è equilibrato, possono essere distruttive quando vengono a lungo bloccate dietro a dighe più o meno improvvisate, mentre la loro mancanza porta aridità e sofferenza.
È uno degli elementi più affascinanti ma anche più problematici della nostra personalità che nessuno ci ha mai insegnato a conoscere, a gestire le emozioni, a vivere pienamente senza lasciarsene sopraffare. Il rapporto di ognuno di noi con le sue emozioni finisce con lo svilupparsi casualmente, prendendo esempio dalle persone più vicine o da risposte automatiche agli eventi. Ai bambini viene detto “non piangere”, “non fare il cattivo”, “non avere paura”, ma non viene quasi mai insegnato un modo alternativo di far fronte all’ondata di emozione, di qualsiasi natura essa sia. Così non tutti sanno che quando un emozione ci assale – perché a volte è propri di un assalto che si tratta – prima o poi bisognerà farci i conti, non si potrà fare finta di niente.
Come l’acqua rimane fresca e pulita quando scorre mentre diventa sporca e insalubre quando ristagna, lo stesso avviene per un’emozione. Se viene vissuta e scaricata in modo adeguato non farà danni se invece viene incassata passivamente, “mandata giù”, ignorata e poi dimenticata, rimarrà dentro, una sacca insalubre che non mancherà di causare problemi a lungo termine ripercuotendosi sulla salute fisica o sulla tranquillità d’animo.
Per vivere bene con le nostre emozioni, per poterle gestire e quando necessario controllare dobbiamo prima di tutto imparare a riconoscerle e accettarle. Non serve a niente dirsi “non voglio essere arrabbiato” se l’ira sta ormai serpeggiando dentro di noi, e non serve neppure chiudere gli occhi di fronte a una passione se questa ormai ha messo seme in noi e ci sta trascinando dove vuole lei. E poi? E poi l’emozione va vissuta, non c’è via di scampo. Quello che può cambiare è il ritmo, il tempo e lo spazio che vogliamo dare all’esperienza. Se un’emozione è piacevole non c’è nessun problema a lasciarsi avvolgere e trasportare e durerà finché durerà. Spesso poco, perché le emozioni sono intense ma se vissute si dissolvono rapidamente. Ci sono invece emozioni che se ignorate e represse o, al contrario, espresse senza alcun freno, possono fare male, a se stessi e agli altri. Sono emozioni più difficili da gestire, come la rabbia, la paura, l’ansia che richiedono un metodo che permetta di far fronte al loro insorgere.
Il metodo è semplice parte dal presupposto che un’emozione va scaricata, sempre e comunque ma i modi di scaricarla sono tre: diretto, indiretto e sublimato. Un moto di irritazione scaricato direttamente si traduce in un attacco, fisico o verbale, nei confronti di chi ha causato l’irritazione; se, invece, la scarica è indiretta, l’aggressione sarà rivolta verso terzi, come quando l’impiegato frustrato urla a casa con i figli. Ma la forma che lascia più spazio e libertà d’azione è la sublimazione, cioè la trasformazione dell’emozione in “forza lavoro” che può essere scaricata in tantissimi modi diversi: correndo, urlando, prendendo a pugni un cuscino, camminando all’aria aperta, parlando con l’amico del cuore, ballando a suon di musica, scrivendo una lettera con tutti gli insulti e improperi che si vorrebbero dire (senza però mandarla), e così via.
Imparando a costruire un buon rapporto con le proprie emozioni cioè dando loro dignità di esistenza e modalità di espressione, si potranno evitare i danni dei due possibili estremi, da una parte la repressione, quindi “aridità” e dall’altra l’espressione incontrollata, quindi “alluvione”. E si potranno trasformare le volubili e mutevoli colorazioni del nostro animo non in una croce da subire, ma in una ricchezza da assaporare.
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