Volontariato e tempo libero del giovane disabile

La malattia grave e la condizione di disabilit

Il clima emotivo della famiglia ne risulta profondamente turbato, e
ne risentono più o meno pesantemente le relazioni interne ed
esterne dei suoi membri.

“Attivismo terapeutico” da un lato, e inerzia depressiva
dall’altro, rappresentano gli estremi delle reazioni che investono
sia il soggetto malato sia i suoi familiari; reazioni in apparenza
contrapposte, accomunate però da una diminuzione della
vivacità di questi soggetti nella sfera delle
attività del tempo libero.

Il tempo libero, nella vita di tutti gli individui, è
un’insostituibile dimensione, paragonabile a ciò che
rappresenta il gioco nell’età infantile: fucina d’
interessi, di relazioni sociali “allargate” oltre i consueti ambiti
della famiglia, scuola, lavoro, offre la possibilità di
soddisfacimento e svago, ma anche di allargamento degli orizzonti
culturali, e di soddisfazione di esigenze profonde degli
individui.

Per il disabile, e per chi gli sta accanto, il tempo libero si
configura spesso come un momento di solitudine, talvolta anche
rispetto ai parenti più prossimi, che finiscono col prendere
le distanze dalla famiglia “sofferente”. Tale rischio è
aggravato dall’inserimento del soggetto in contesti poveri di
stimoli (la sua integrazione scolastica è difficile anche
laddove sia possibile l’inserimento in classi normali, e dopo la
conclusione del ciclo scolastico, gli ostacoli si accrescono
ulteriormente); un altro fattore di aggravamento del rischio
è costituito dall’eventuale limitazione della
capacità di comunicare del soggetto disabile.

Il volontario, che pratica assistenza a domicilio, come accade
nell’Associazione Paolo Pini, costituisce con la sua
presenza accanto al bambino un primo passo verso un allargamento
delle esperienze sociali. Il suo intervento arricchisce con
naturalezza le opportunità del bambino nel tempo libero, sia
per quello che fa, sia per il modo in cui lo fa (estende i modelli
di comunicazione del ragazzo).

Il volontario dovrebbe sempre porsi l’obiettivo di limitare
l’isolamento del bambino e dei suoi genitori, favorendo incontri e
scambi con altre persone e strutture aggreganti presenti nel
quartiere. Con l’aiuto dello psicologo e dell’assistente sociale,
il volontario cerca soluzioni che riguardino insieme,
congiuntamente o separatamente, sia il tempo libero del giovane
disabile sia quello del suo nucleo familiare. Egli sviluppa nei
genitori una sensibilità ed una consapevolezza che faciliti
e sostenga gli interventi che propone, e individua iniziative di
integrazione, piuttosto che di “ghettizzazione”, stimolando anche
il necessario coinvolgimento della comunità locale.

L’impegno dell’Associazione Paolo Pini è volto ad orientare
gli sforzi dei volontari in questo percorso, attraverso la
formazione di base e la consulenza fornita durante il periodo di
attività.

Roberto Cerabolini

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