Yvo de Boer, “Mr. Kyoto”

Yvo de Boer, membro dell’Onu, è soprannominato “Mr. Kyoto”. Facciamo il punto sui provvedimenti internazionali per contrastare i cambiamenti climatici.

Più precisamente: è il Segretario della
Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, un trattato
ambientale internazionale prodotto dalla Conferenza di Rio de
Janeiro nel 1992. La Convenzione, ratificata da quasi 200 paesi,
è il tavolo attorno a cui si siede la comunità
internazionale per decidere come affrontare il problema dei
cambiamenti climatici. A che punto siamo?
È
ancora lunga la strada verso un nuovo accordo internazionale sul
clima. Quest’anno abbiamo ricevuto segnali molto importanti dalla
comunità scientifica: il problema è reale e dobbiamo
agire in fretta. Adesso abbiamo bisogno di una risposta politica.
La settimana scorsa c’è stato un incontro molto importante a
New York. All’incontro, organizzato dal segretario generale delle
Nazioni Unite Ban Ki Moon, hanno partecipato più di 80 capi
di stato e di governo. È l’inizio di una volontà
politica che va alimentata, e che deve portare ad una decisione a
Bali: accelerare i negoziati internazionali.

Prossima tappa: Thailandia. Quali sono i problemi in
vista dell’incontro di Bali?
Uno dei problemi è
come coinvolgere maggiormente i paesi in via di sviluppo. Paesi
come Cina, India e Brasile sono importanti, perché le loro
emissioni crescono rapidamente. D’altro canto questi paesi vogliono
anche sradicare la povertà. Ecco la prima sfida: in che modo
la comunità internazionale può aiutarli ad agire sul
cambiamento climatico e al tempo stesso permettere loro di
sradicare la povertà? La seconda sfida è la seguente:
come possiamo progettare un regime climatico di cui gli Stati Uniti
vogliano far parte? Perché non ha senso progettare un regime
che non includa il più grande produttore di CO2 al mondo.
Infine viene la terza sfida: come possiamo aiutare i paesi
più poveri a mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici?
Queste sono le principali sfide da affrontare per concordare una
soluzione a lungo termine che sia fattibile.

Quali sono le aspettative?
Al momento
abbastanza promettenti. Ma è pericoloso essere troppo
ottimisti. Dobbiamo riconoscere il fatto che gli Stati Uniti e
l’Australia mostrano ancora serie preoccupazioni. Dobbiamo
riconoscere il fatto che i paesi in via di sviluppo vogliono essere
assolutamente sicuri che il loro obiettivo di sradicare la
povertà sia salvaguardato. E dobbiamo essere certi di
offrire qualcosa di veramente utile al più ampio gruppo dei
paesi in via di sviluppo.

Cosa può fare l’Europa?
L’Unione
europea ha messo sul tavolo un traguardo molto ambizioso (ridurre
le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020, ndr) e si è
offerta di spingersi oltre (ridurle del 30%, ndr), se altri paesi
si uniranno a lei. Questa è la sua forza. Tuttavia
c’è una sfida che l’attende: impegnare gli altri paesi a
capire come possono unirsi all’iniziativa europea e trasformarla in
un accordo internazionale efficace.

Perché è importante che i cittadini,
europei e non, comprendano l’urgenza del problema?
Se
i cittadini non si rendono conto dell’importanza del problema, i
politici non possono prendere delle decisioni che comportano dei
costi per i cittadini stessi. Ma il clima sta già cambiando.
Prendiamo l’Europa: aumentano la siccità e gli incendi a
sud, mentre il nord diventa sempre più piovoso. I ghiacciai
sulle montagne europee cominciano a scomparire. Sempre più
africani cercano di arrivare in Europa, perché fanno fatica
a sopravvivere nel loro continente. I cittadini europei vedono
già gli effetti dei cambiamenti climatici attorno a loro.
Allo stesso tempo, gli abitanti dei paesi in via di sviluppo se ne
rendono conto anche maggiormente. Ma sono svantaggiati,
perché in preda alla povertà. La consapevolezza
pubblica del clima sta crescendo, e spero che questo faciliti il
compito ai politici.

Gianluca
Cazzaniga

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