Migranti, l’Europa ha davvero sdoganato il “modello Albania” per i rimpatri?

Raggiunto l’accordo sul nuovo regolamento: sarà possibile istituire degli ‘hub di rimpatrio’ anche al di fuori del territorio europeo.

L’accordo raggiunto l’8 dicembre in sede di Consiglio europeo sul nuovo regolamento europeo in materia di rimpatri segna un passaggio rilevante nel percorso di riforma delle politiche migratorie dell’Unione. Il cuore politico del regolamento è la possibilità, per l’Unione o per i singoli Stati membri, di stipulare accordi con Paesi terzi per la gestione dei rimpatri: gli Stati potranno istituire centri – i cosiddetti return hubs – al di fuori del territorio comunitario, utilizzabili sia come luoghi di transito sia come destinazione finale, a condizione del rispetto degli standard internazionali in materia di diritti umani e del principio di non respingimento. L’accordo comprende inoltre una lista europea di Paesi di origine sicuri che include, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia.

I “return hubs” extra-Ue per i rimpatri

In questo quadro, l’Italia rappresenta un precedente già operativo, e dunque il governo italiano ora canta vittoria: con il protocollo siglato con l’Albania, infatti, il governo è stato il primo nell’Unione europea a sperimentare una forma avanzata di esternalizzazione della gestione dei flussi e dei rimpatri. Nel porto di Shengjin è operativo un hotspot destinato alla gestione degli sbarchi, all’identificazione delle persone e al primo soccorso. Nell’area di Gjader, a circa 20 chilometri di distanza, sorge invece una struttura per l’accoglienza temporanea sul modello dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) presenti in Italia. La particolarità del sistema risiede nella giurisdizione italiana sulle strutture, affiancata dal controllo esterno affidato alle autorità albanesi. Un modello che, fin dalla sua nascita, ha sollevato forti critiche e che finora ha mostrato un funzionamento discontinuo, a causa soprattutto dell’intervento della magistratura che ha più o meno sistematicamente non convalidato i fermi dei migranti in quei centri.

Nonostante le polemiche, per il governo italiano l’intesa europea rappresenta ora una piena legittimazione della linea seguita. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato di una vera e propria “svolta”, rivendicando che le nuove regole Ue siano “in linea con i provvedimenti già adottati dall’Italia”, a partire proprio dal protocollo con Tirana. “Finalmente – ha dichiarato – ci avviamo a realizzare un sistema europeo per i rimpatri realmente efficace”, sottolineando la possibilità di applicare procedure accelerate di frontiera e il venir meno dell’effetto sospensivo automatico dei ricorsi giudiziari.

Quelle speranze recluse

Sul piano dei diritti umani, tuttavia, le perplessità restano forti. Secondo il rapporto di Migrantes pubblicato proprio all’indomani dell’accordo europeo, il “modello Albania” si colloca “ai margini della democrazia” e rappresenta un laboratorio per l’estensione extraterritoriale del controllo migratorio. Un sistema nel quale l’opacità, alimentata dall’esclusione della società civile e dei media, diventa uno strumento di governo e in cui l’inefficacia pratica in termini di rimpatri si traduce in efficacia politica e disciplinare. In questa prospettiva, secondo il rapporto della Cei  l’esperimento albanese non va considerato un’eccezione, ma “un tassello del più ampio continuum delle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere”.

Mentre monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei per le Migrazioni, è cauto sul fatto che l’Europa abbia davvero sancito la vittoria della linea italiana: “Non sarei così certo che questo accordo significhi lo sdoganamento dei costosi, scandalosi e finora inutilizzati centri in Albania”. Perego ha inoltre sottolineato come l’intesa europea riduca il numero dei Paesi considerati sicuri rispetto alle liste nazionali e ribadisca un principio centrale del diritto d’asilo: la protezione internazionale riguarda la persona e la sua situazione specifica, non il Paese di provenienza in quanto tale.

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