Donald Trump impone restrizioni agli ingressi di cittadini di 19 nazioni 

La misura è stata annunciata il 4 giugno dal presidente Trump. Per l’Onu è un provvedimento discriminatorio e che suscita preoccupazioni.

Mercoledì 4 giugno il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato un decreto che impone il divieto di ingresso sul territorio americano a stranieri provenienti da dodici paesi: Afghanistan, Myanmar, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Ad essi si aggiungono altre sette nazioni per le quali sono state introdotte restrizioni parziali: si tratta di Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan e Venezuela.

Trump: “Dobbiamo garantire la sicurezza nazionale”

Ufficialmente, l’amministrazione di Washington ha dichiarato che la decisione è stata assunta “per proteggere la sicurezza nazionale e gli interessi degli Stati Uniti e del suo popolo”. Si tratta di una reazione all’attacco, effettuato da un cittadino egiziano nella città di Boulder, nel Colorado. L’uomo ha utilizzato un lanciafiamme rudimentale e lanciato bombe molotov su un gruppo di manifestanti che protestava per la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas nella Striscia di Gaza.

Donald Trump
I lpresidente degli Stati Uniti Donald Trump © Joe Raedle/Getty Images

In un comunicato, Trump ha indicato che le misure restrittive per coloro che giungono dai diciannove paesi in questione servono per evitare l’ingresso di “terroristi stranieri”. E ha fatto in particolare riferimento proprio a quanto accaduto a Boulder, definendolo un episodio che “evidenzia i rischi estremi posti dall’arrivo incontrollato di stranieri”. Persone “che noi non vogliamo”, ha aggiunto.

Il riferimento all’attacco di un cittadino egiziano nel Colorado

L’Egitto, però, non figura nei due elenchi. Tornando indietro nel tempo, anche uno dei tre piloti degli aerei dirottati l’11 settembre 2001, Mohamed Atta, era un cittadino della nazione africana. Mentre gli altri due, Marwan al-Shehhi e Ziyad Jarrahera, erano rispettivamente originari degli Emirati Arabi Uniti e del Libano: altri due stati non presenti nelle liste di Trump. Inoltre, dalle cronache degli ultimi anni non emerge come i problemi giungano, ad esempio, da persone provenienti da nazioni come Cuba, Venezuela o Haiti.

Se c’è un denominatore comune per le nazioni in questione, esso va ricercato piuttosto dal punto di vista economico: fondamentalmente, ad accomunare i paesi nelle due liste sono l’arretratezza e la povertà. Il sospetto è che dietro alla sbandierata necessità di garantire sicurezza ci sia, almeno anche, la volontà di sfruttare l’occasione per imporre nuovi giri di vite sulle migrazioni.

Le Nazioni Unite: “Il decreto viola il principio di non discriminazione”

Non a caso, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha sottolineato che “la portata molto ampia e generale dei nuovi divieti suscita inquietudini rispetto a quanto disposto dal diritto internazionale. In particolare per quanto riguarda il principio di non discriminazione, ma anche con riferimento alla necessità e proporzionalità delle misure adottate per rispondere alle preoccupazioni in termini di sicurezza”.

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Migranti nella città di Tijuana, in Messico, al confine con gli Stati Uniti © David McNew/Getty Images

In una comunicazione diffusa alle agenzie di stampa, lo stesso Türk ha aggiunto che “così si rischia di contribuire alla stigmatizzazione degli stranieri dei paesi in questione, sia negli Stati Uniti che altrove, accrescendo la loro esposizione ad atteggiamenti ostili e ad abusi xenofobi”.

Amnesty International: “Misura discriminatoria, razzista e crudele”

Ancor più dura la reazione della divisione statunitense di Amnesty International. Secondo l’organizzazione non governativa “il decreto è discriminatorio, razzista e assolutamente crudele”. Mentre Jamal Abdi, presidente del Consiglio nazionale iraniano-americano, ha osservato che la misura “non rafforzerà la sicurezza e farà soffrire molte persone”. A reagire è stato poi il presidente del Ciad, Mahamat Déby Itno, che ha disposto il blocco delle concessioni di permessi di soggiorno a cittadini statunitensi e dichiarato: “Il nostro paese non ha aerei né miliardi da offrire. Ma ha la sua dignità e il suo orgoglio”.

Già nel corso del suo primo mandato, Trump aveva adottato una misura simile, bloccando l’ingresso sul territorio americano ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana (per questo il provvedimento venne ribattezzato “muslim ban”: all’epoca nella lista figuravano Iraq, Siria, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Yemen. Il divieto fu poi eliminato dal successivo presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

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