Mimmo Lucano e il modello Riace: sono cadute le accuse più gravi

Cadono in Appello tutte le accuse più gravi per l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Rimane solo una condanna con pena sospesa per abuso d’ufficio.

  • Cadono in Appello tutte le accuse più gravi contro Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, dove aveva realizzato un sistema di accoglienza per migranti considerato un modello.
  • Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e due mesi per associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio e peculato.
  • La nuova sentenza conferma soltanto una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa, per abuso d’ufficio.

Le sue prime parole sono state: “È la fine di un incubo“. Mimmo Lucano, nel 2021, era stato condannato in primo grado a 13 anni e due mesi per associazione a delinquere, finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Cas (i centri di accoglienza straordinaria) per migranti, e ancora per truffa aggravata, abuso d’ufficio, 56 falsi in atto pubblico e un peculato. Praticamente era un mostro. La sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria nel processo a carico dell’ex sindaco di Riace, però, ha di fatto smontato tutto il castello d’accuse. Non era vero niente.

Per Mimmo Lucano resta solo una condanna per abuso

Di tutte le condanne ricevute in primo grado, la nuova sentenza ne conferma solamente una, una falsa dichiarazione che serviva a sbloccare i rimborsi della prefettura di Reggio Calabria per le spese di gestione sostenute per le attività di accoglienza dei migranti richiedenti asilo o titolari di protezione effettuate nell’ambito dei progetti Sprar e Cas: in quel documento, Lucano “attestava falsamente di aver effettuato i controlli sui rendiconti di spesa, certificandoli ed asseverandoli”, e per questo è stato condannato a un anno e sei mesi, con pena sospesa. Tutti assolti, invece, gli altri 17 imputati per gli stessi reati.

Cadono però, tutto d’un colpo, tutte le accuse gravissime e infamanti, che erano costate a Lucano una condanna enorme, ma soprattutto avevano innescato una campagna mediatica e politica culminata, con i decreti Sicurezza del 2018, con la fine dell’esperienza degli Sprar, il sistema di accoglienza diffusa di cui il suo borgo calabrese, salvato dallo spopolamento, era diventato un modello.

Gli Sprar, dal 2002 e fino al 2018, costituivano la cosiddetta seconda accoglienza ai migranti, organizzata in progetti finanziati da un fondo nazionale, ma affidati direttamente ai Comuni e quindi ritagliati direttamente sulle esigenze delle persone coinvolte ma anche del territorio: un modello virtuoso in sé, che puntava sul concetto di accoglienza integrata. E che oggi non esiste più.

Un murales per l'accoglienza a Riace
Un murales per l’accoglienza a Riace © Wikimedia

Lucano, prima dell’apertura dell’inchiesta denominata Xenia, aveva trasformato Riace, un borgo di appena 900 anime in via di spopolamento, in un vivo e vivace Sprar diffuso abitato da duemila persone, tra “riacesi di nascita e di adozione” come affermava il sindaco, in cui rifugiati e richiedenti asilo avevano trovato occupazione e integrazione nelle varie botteghe del paese.

Fu illegittimo “chiudere” Riace

Al punto che a tessere le lodi di quella esperienza era stato nel 2020 perfino il Consiglio di Stato, cui Lucano si era rivolto quando, in seguito all’apertura dell’inchiesta Xenia, il comune di Riace era stato escluso dal circuito Sprar: secondo i giudici del Consiglio infatti il modello di accoglienza per migranti messo in piedi nel comune calabrese “era encomiabile sia negli intenti che negli esiti del processo di integrazione, circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti” e dalla stessa prefettura di Reggio Calabria, “da cui era arrivata una relazione positiva”.

Nel frattempo però il municipio calabrese aveva cambiato amministrazione, passando dal centrosinistra al centrodestra. E, soprattutto, il decreto Sicurezza approvato nel frattempo aveva sensibilmente ridotto la portata dello Sprar, cancellando lo status di protezione umanitaria per i migranti (reintrodotto poi un paio d’anni più tardi). Ormai dal 2018, dunque, il “modello Riace” non esiste più.

Quantomeno però, finalmente “la giustizia è arrivata” esulta Mario Oliverio, presidente delle regione Calabria ai tempi della Riace di Lucano. “Non abbiamo mai avuto dubbi: Mimmo Lucano è una persona onesta, un uomo che ha dedicato il fiore della sua gioventù all’accoglienza degli ultimi”. La stessa opinione, per esempio, di Roberto Saviano, che si è subito detto felice per un amico non solo mio, ma di chiunque ritenga che i diritti di chi non ha diritti vengano prima di ogni becera propaganda politica. Evviva Mimmo, giustizia è (quasi) fatta”.

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