Un viaggio da sogno nell’Oberland Bernese

Un viaggio da sogno nell’Oberland Bernese

Da Domodossola ai laghi di Thun e di Brienz a bordo del Trenino Verde per viversi natura, benessere e sport outdoor immersi in paesaggi mozzafiato.

Tempo di lettura: 29 min.

“Chi più in alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna”. Sono le parole del grande Walter Bonatti, alpinista, esploratore, scrittore nonché leggendario “Re delle Alpi”. Ci lasciamo sedurre dal suo invito alla montagna e partiamo per un viaggio da sogno tra le vette dell’Oberland Bernese.

Siamo nel cuore alpino della Svizzera, circondati dalla leggendaria triade dell’Eiger, del Mönch e della Jungfrau: l’Orco, il Monaco, la Vergine. La voce possente di queste cime accompagna panorami di straordinaria bellezza intorno ai laghi di Thun e Brienz, tra boschi, cascate, piccoli specchi d’acqua, fiumi e villaggi pittoreschi. Lo sguardo contempla l’armonia del paesaggio, si muove nel verde dove qua e là spiccano le torri appuntite di castelli medioevali, i piccoli borghi incastonati nelle insenature dei laghi, con i porticcioli, gli chalet e gli immancabili balconi fioriti. E poi via, lo sguardo si lancia verso l’alto, raggiunge l’azzurro del cielo seguendo il profilo di cime spettacolari perennemente imbiancate, per ridiscendere incontrando l’imponente ghiacciaio dell’Aletsch, il più esteso delle Alpi. Musica per gli occhi e per i sensi che tornano a dialogare intensamente con la natura.

In viaggio con Elena Gogna di LifeGate, biologa ed esperta di sostenibilità
Biologa specializzata in green management, Elena Gogna si occupa di ambiente, della sua protezione e della comunicazione di ciò che contribuisce alla sua tutela. Le sue passioni sono guidate dalla natura che considera come un museo a cielo aperto. Da sempre è affascinata dalla dimensione imponente della montagna, ama lo sci e l’arrampicata ma le piace anche osservare da vicino il territorio in tutti i suoi dettagli. Arrivata nell’Oberland Bernese, si è tuffata a capofitto nella bellezza della natura lasciandosi avvolgere dal fascino delle vette leggendarie che hanno fatto la storia dell’alpinismo.

Silenzio e tempo: questo è ciò che incontriamo nell’Oberland Bernese, quando lontano dalla giungla urbana riscopriamo una relazione stretta e vitale con l’ambiente. Non è un caso che la zona di Interlaken sia considerata la capitale europea degli sport outdoor. Dal cicloturismo al ratfting, accontentando sia gli spiriti contemplativi che quelli adrenalici. Ce n’è per tutti i gusti. Ma con calma, perché come disse il cantautore Charles Aznavour  – che fu tra le altre cose ambasciatore armeno in Svizzera – “Questa è un’oasi di pace. Anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi”. E non saremo di certo noi a invertire la rotta.

1. Il Trenino Verde delle Alpi

Partiamo con due buone notizie, anzi tre. La prima è che potete dimenticare l’auto per qualche giorno, perché per muoversi agilmente in Svizzera bastano i mezzi pubblici: capillari, efficienti, ordinati e puntuali. Svizzeri, insomma. L’intermodalità qui è di casa e regala delle certezze a cui noi italiani siamo poco abituati ma che meritiamo di provare per comprendere che sì, è possibile vivere in un mondo meno trafficato, meno inquinato, più sicuro e rilassante.

Fermate principali: Domodossola, Briga, Kandersteg, Spiez, Thun e Berna

Tempo di percorrenza da Domodossola a Berna: 2 ore e 20 minuti.

La seconda notizia è che questa scelta consente di rispettare l’ambiente e di godersi a pieno la bellezza dei luoghi che vedrete scorrere sotto i vostri occhi. Quindi, anziché un volante, sarà un piacere tenere tra le mani un buon libro stando comodamente seduti in treno, per poi salire su un battello e sorseggiare un bicchiere gustando paesaggi da cartolina. Ne è una prova il Trenino Verde delle Alpi che collega il Piemonte alle Alpi Svizzere, attraversando la Val Divedro lungo il fiume Diveria, inerpicandosi sulle montagne del Vallese tra boschi, creste rocciose e ghiacciai fino all’Oberland Bernese, offrendo scorci panoramici incantevoli. E qui arriva la terza buona notizia, quella che vi occorre per mettervi in viaggio: il Trenino Verde delle Alpi parte da Domodossola ogni due ore per 365 giorni all’anno.

I treni sono un’invenzione meravigliosa. Il mio amore di sempre. Viaggiare in treno significa vedere la natura, gli uomini, le città, le chiese, i fiumi, insomma, la vita

Agatha Christie

Si tratta di un mezzo che nonostante la sua longevità risulta ancora poco conosciuto, avendo vissuto all’ombra del celebre Trenino Rosso del Bernina. Entrambi sono stati costruiti nei primi anni del XX secolo ma il Trenino Verde delle Alpi è un pioniere nel suo genere: infatti vanta da sempre locomotive elettriche anziché a vapore. Percorre la linea ultracentenaria del Sempione e del Lötschberg e in poco più di due ore arriva fino a Berna, capitale federale della Svizzera. Lungo il tragitto tocca la città di Briga – nota per il suo castello e le chiese barocche – e grazie a gallerie in quota, tunnel e “rampe” supera importanti dislivelli per raggiungere i paesi di Kandersteg e Frutigen. Da lì scende verso il lago fermandosi a Spiez e poi a Thun, antica città considerata “la porta di accesso dell’Oberland Bernese”. Infine, prosegue lungo la valle del fiume Aare per arrivare in venti minuti fino a Berna, il cui centro storico è patrimonio Unesco.

Informazioni per il Trenino Verde delle Alpi
La linea che percorre il Trenino Verde delle Alpi ha rappresentato una grande sfida ingegneristica risolta con innovative soluzioni come la galleria del Sempione lunga 19,8 km, risalente addirittura al 1906.  Oltre a questa troviamo tunnel elicoidali in quota, passaggi sui viadotti e le due “rampe” del Lötschberg. La “rampa sud” si affaccia sulla valle del Rodano mentre quella a nord conduce verso Frutigen. Queste rampe consentono al treno di superare un dislivello che arriva fino a 450 metri con pendenze di oltre il 27%. Non fatevi ingannare dal nome e dalla sua età, il Trenino Verde delle Alpi è un mezzo moderno con carrozze panoramiche munite di grandi finestrini.
Per una gita breve conviene utilizzare la carta giornaliera BLS Trenino Verde delle Alpi che consente di circolare liberamente anche sui battelli del lago di Thun. Costa 59 € per gli adulti e 15 € per ragazzi da 6 a 16 anni, mentre i bambini fino a 6 anni viaggiano gratis.  Informazioni biglietti.
Lo Swiss Travel Pass è il biglietto all-in-one che dà libera circolazione su treni, autobus, battelli e sui mezzi pubblici di 90 città. Comprende la gratuità per alcune escursioni in montagna e l’ingresso gratuito in oltre 500 musei. Può avere una validità che va dai tre ai quindici giorni.

2. La prime tappe del viaggio, Kandersteg e Frutigen

Kandersteg

La prima fermata del nostro viaggio è Kandersteg, un piccolo paradiso per gli amanti della natura e della montagna a 1.200 metri d’altezza. Qui gli chalet tradizionali, i rifugi alpini e le locande si allungano in silenzio all’ombra del Dolhenhorn (3.643 m). Lontana dalla strada principale, tra i prati fioriti, si distingue una cappella in pietra del 1500 che sembra dialogare con i massicci imponenti che la guardano dall’alto. Così è Kandersteg, un paese dove si respira l’animo autentico e rustico di questi luoghi.

Kandersteg è un piccolo paradiso per gli amanti della montagna a 1.200 metri d’altezza con più di 500 chilometri di sentieri

Il paese si allunga per quattro chilometri sui prati della valle del fiume Kander all’ombra del monte Dolhenhorn (3.643 m)

Kandersteg è la base ideale per escursioni e itinerari di vario tipo e difficoltà: nei dintorni ci sono più di 500 chilometri di sentieri con vie ferrate, pareti per arrampicate su ghiaccio o semplici passeggiate come quella che conduce al magnifico lago di Oeschinen che fa parte del patrimonio Unesco Jungfrau-Aletsch. Si può salire con la cabinovia per proseguire a piedi su un breve sentiero di mezz’ora adatto anche alle famiglie (e ai loro passeggini!) o in alternativa è possibile prendere un autobus elettrico. Si arriva così allo splendido bacino lacustre incastonato tra rocce e vette aguzze, alimentato dai ruscelli che scendono dai ghiacciai, circondato in estate da cascate spettacolari. Un luogo poetico, sospeso nel tempo, dove vale la pena trascorrere l’intera giornata. Ci si può tuffare nelle acque blu o si può prendere una barca a remi per attraversare dolcemente questa meraviglia naturale.

Blausee

Da Kandersteg, con una escursione a piedi di cinque chilometri, si può raggiungere il lago di Blausee che si trova all’interno di una affascinante riserva naturale di 20 ettari: un’altra gemma imperdibile delle alpi bernesi. Il lago di origine glaciale risale a migliaia di anni fa. Le acque sono alimentate da una sorgente sotterranea e ricche di minerali che donano un colore sorprendente. Colpiscono la bellezza e la quiete dei boschi che lo circondano e che si attraversano con una breve passeggiata fino ad arrivare alla riva dove si spalanca un quadro idilliaco. Il colore cristallino dell’acqua si mescola con la natura circostante in un gioco di riflessi, riverberano il verde e le cime bianche dei monti mentre sotto la superficie guizzano le trote dell’allevamento biologico presente nella riserva.

Attraversando un piccolo ponte nascosto tra gli alberi si nota una scultura immersa in profondità tra i tronchi e le rocce che ritrae una donna in ginocchio, con lo sguardo rivolto al cielo. È l’opera suggestiva di Raffael Fuchs, intitolata It’s time to stand up!. La ragazza ritratta è la protagonista della leggenda che avvolge questo luogo: si narra infatti che disperata, dopo aver perso il suo amore, una giovane donna si lasciò morire tra queste acque che presero il colore delle sue lacrime. Fuchs spezza il lato più nostalgico e romantico della leggenda, invita a guardare avanti, a lasciarsi alle spalle il passato e a rialzarsi.

Frutigen

L’insegna dell’antica stazione ferroviaria di Frutigen @ Paola Piacentini

Se siete dei “feramatori”, ovvero degli appassionati del mondo ferroviario (fotografi, collezionisti, studiosi, cultori del turismo sui binari), una tappa d’obbligo è Frutigen. Di fronte alla stazione attuale si trova infatti la vecchia stazione (1901-1913) completamente restaurata e trasformata da BLS in un centro visitatori, accessibile senza prenotazione durante gli orari di apertura. Tra i cimeli esposti ci sono manifesti vintage che raccontano il grande lavoro svolto dalle migliaia di operai elvetici e italiani per la costruzione della linea. In un angolo cattura l’attenzione la vecchia macchina per acquistare i biglietti: ce ne sono più di trecento tipologie, disposti in file ordinate, a formare un quadro colorato. Il più romantico tra i biglietti è sicuramente quello per la “Music Boat” che consentiva un giro speciale sull’acqua. Ce lo indica sorridendo Martin Hauswirth, il responsabile del centro, figlio di un capostazione, che ha seguito le orme del padre. Da questo centro inoltre parte il minibus per la visita guidata alla galleria di base del Lötschberg, un tunnel modernissimo di 34,6 km.

Tropenhaus

La serra e il ristorante della Tropenhaus di Frutigen ©  LifeGate

Frutigen è il principale centro della Frutigtal, la valle formata dal fiume Kander. Siamo a 800 metri di altezza, ai piedi delle vette alpine bernesi e il piatto più noto da queste parti non è la raclette bensì il “pesto della giungla” che si può gustare nel rinomato ristorante della Tropenhaus: una sorprendente serra in quota, in cui si coltivano piante, fiori e soprattutto frutti tropicali. Vengono così sfruttate le acque sorgive che sgorgano dal Lötschberg che hanno una temperatura di 18 gradi, scoperte durante gli scavi del tunnel. L’architettura moderna della Tropenhaus punta sul risparmio energetico e sull’uso di energie rinnovabili prodotte grazie ai pannelli solari e ai gas naturali della serra. Una grande turbina recupera il surplus dell’acqua potabile non consumato dagli abitanti di Frutigen che viene quindi trasformato in energia utilizzata nella Tropenhaus e in parte ridistribuita alle famiglie del paese.

3. Il lago di Thun e Interlaken

In Svizzera i treni e i battelli non sono dei semplici mezzi di trasporto ma delle giostre panoramiche: ci si muove nella bellezza e il tragitto è affascinante quanto la destinazione.  Da questo punto di vista il giro in battello del lago di Thun è un grande classico del turismo elvetico, con una tradizione che risale alla fine del XVIII secolo e che tutt’oggi conserva un fascino dal tocco romantico. Immancabile un po’ come un giro in gondola a Venezia, sul bateau-mouche sulla Senna o sulla ruota panoramica di Vienna.

Thun è considerata la porta d’ingresso dell’Oberland Bernese. Il centro storico si snoda lungo il fiume Aare e risale al periodo medioevale

Interlaken è letteralmente la città tra due laghi, quello di Brienz e di Thun. Per il suo paesaggio sublime da sempre è meta turistica nota a livello internazionale

Saliamo sul ponte, vento in faccia e sole in fronte mentre scivoliamo lentamente sull’acqua con l’impressione di muoverci dentro ad una cartolina, rimaniamo a bocca aperta per la vista che ci circonda. Il lago turchese è incorniciato dalle imponenti vette alpine e costellato da antichi borghi e castelli. Lasciamo alle spalle il castello medioevale che sovrasta Thun con la sua mole compatta e le quattro torri e incontriamo subito dopo quello di Schadau con la sua aria fiabesca. Costruito a metà Ottocento ha uno stile tra il romantico e il neogotico, circondato dal verde di un grande giardino all’inglese, oggi ospita solo nove stanze esclusive. Più in là compare quello di Spiez, altra cittadina incantevole adagiata su una baia circondata da vigne. Sullo sfondo abbiamo il monte Niesen (2362 m) con la sua inconfondibile forma a piramide, mentre davanti a noi la triade dello Jungfrau (4158 m), del Mönch (4.105 m) e dell’Eiger (3967 m). Volgendo lo sguardo a est troviamo invece il monte Niederhorn (1963 m). Ci fermiamo all’imbarcadero Beatushöhlen-Sundlauenen per andare a visitare le grotte di San Beato. Preludio di questa escursione sono le dirompenti cascate e il bel sentiero che in una ventina di minuti a piedi conduce all’ingresso delle grotte.

Le grotte di San Beato e la leggenda del drago

Basta dire ʻSvizzeraʼ affinché davanti ai nostri occhi si disegni il profilo di montagne maestose. Eppure esiste un mondo sotterraneo, antico e affascinante quanto quelle vette, un mondo invisibile racchiuso dentro la montagna. Potremmo definirlo come il rovescio della medaglia che ci porta ad un’esplorazione insolita in profondità.

Il percorso delle grotte di San Beato si addentra nelle profondità del massiccio del Niederhorn, con un sistema sotterraneo che ha una lunghezza di 14 chilometri, una parte dei quali è attrezzata e illuminata per le visite. Passiamo così attraverso gole strette e ampie sale, circondati da meravigliose stalagmiti, stalattiti e cascate sotterranee che con il loro fragore accompagnano questo viaggio speleologico. I passaggi e le formazioni sono sapientemente illuminati dalle luci artificiali che ne esaltano le forme e rendono ancora più suggestiva l’esperienza.

La leggenda narra di un terribile drago che durante il Medioevo visse in queste caverne finché venne scacciato da un monaco irlandese itinerante di nome Beato che gli andò incontro con una croce invocando la Santissima Trinità. Allora il drago fuggì e si precipitò nel lago di Thun dove annegò. Si dice che San Beato abbia costruito il suo eremo in una di quelle caverne e ci sia vissuto fino alla morte. All’ingresso oggi è possibile vedere la tomba del santo e una ricostruzione della sua cella.

Interlaken e gli sport outdoor

Interlaken come suggerisce il nome stesso è la città che sorge tra due laghi, quello di Thun e quello di Brienz. Grazie alla sua posizione gode di un panorama sublime che da secoli la rende una meta turistica famosa in tutto il mondo. Nell’Ottocento venne frequentata da scrittori come Goethe e Lord Byron mentre fu il pittore Franz Niklaus König a diffondere la bellezza di questi paesaggi attraverso le sue tele. Interlaken fece innamorare di sé soprattutto i nobili inglesi dell’epoca vittoriana e qui sorsero i primi grandi alberghi in stile belle époque, come lo splendido Hotel Victoria Jungfrau del 1865, di fronte al quale oggi atterranno centinaia di persone in parapendio. Fa sorridere ma attualmente Interlaken è la destinazione prediletta per chi ama gli sport all’aria aperta e soprattutto gli sport estremi. Altro che vita da salotto e abito da sera!

Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite.

Mark Twain

La Svizzera è la seconda destinazione al mondo in tema di sport estremi dopo la Nuova Zelanda e Interlaken si è guadagnata la fama di capitale europea dell’avventura.

Gli amanti della montagna troveranno 45 impianti di risalita, cremagliere e funicolari che consentono di godersi passeggiate in quota, arrampicate e hiking ma questa zona è anche il paradiso degli sport acquatici con offerte di kayak, diving, windsurf, sci nautico e canyonig (anche per principianti). L’elenco di proposte non finisce qui e soprattutto soddisfa chi desidera avventure adrenaliniche in scenari spettacolari. Potrete cimentarvi nel rafting o nel canyon swing (un salto ondeggiate nel canyon), mentre se il vostro elemento è l’aria allora fanno al caso vostro il bungee jumping, il paracadutismo o il deltaplano. Anche gli appassionati di bici potranno sbizzarrirsi pedalando tranquillamente sulle piste ciclabili sul fiume Aare o tra i sentieri scoscesi per mountain bike.

Noi raggiungiamo Beatenberg, il punto di riferimento per il parapendio. Siamo su una terrazza verdeggiante a 1.350 metri, circondati da grandi vele colorate distese sul prato pronte a gonfiarsi col vento e spiccare il volo. C’è chi parte in solitaria e chi in tandem insieme ad una guida esperta. Tre passi in discesa e si vola! Un’esperienza unica, emozionante e straordinariamente semplice. Basta alzare lo sguardo mentre si passeggia a Interlaken e contare i kites in aria per comprendere che qui volare non è uno sport estremo.

Oltre a soddisfare gli spiriti avventurosi, Interlaken è la località adatta per viversi una vacanza rilassante, tanto da essersi aggiudicata dal 2019 il sigillo di qualità “Wellness Destination”. Il benessere è qui inteso in modo olistico per cui il relax, l’attività motoria e la sostenibilità sono elementi che vanno di pari passo anche all’interno delle strutture ricettive.

Deltapark Vitalresort © LifeGate

Il Deltapark Vitalresort rispecchia questa filosofia. Si affaccia sul lago di Thun e sta all’interno di un parco di 90 mila metri quadri tra due riserve naturali. L’hotel mette al centro il fitness e lo sport proponendo anche pratiche orientali come il tai chi e lo yoga. L’area della spa è uno dei pezzi forti della struttura ma è anche una sfida a livello di sostenibilità, come ci spiega il direttore Mirko Plozza. “Cerchiamo di avere un’impronta sull’ambiente il più delicata possibile ma non è semplice. Scaldiamo l’acqua con i pannelli solari e i gas naturali e cerchiamo di evitare sprechi, per esempio eliminando le ciabatte monouso. L’intero edificio è in legno e si alimenta con energie rinnovabili come il pellet o il gas naturale che viene anche dagli scarti di cibo. Cerchiamo di sostituire i motori a carburante con quelli elettrici come i robot per tagliare l’erba. Fondamentale per noi è l’attenzione al cibo per evitare sprechi alimentari”. E poi conclude: “Ho tre figlie e mi rendo conto che questa è una lotta per noi e per le prossime generazioni. Questo è il tempo di farsi delle domande, il cambiamento comincia così”.

Abbi buona cura del tuo corpo, è l’unico posto in cui devi vivere.

Jim Rohn

4. La Jungfrau e l’Aletsch

Ci sono luoghi che toccano non solo per la loro bellezza ma anche per la loro storia. Luoghi leggendari attraversati da tracce umane coraggiose lasciate da chi ha portato a termine grandi imprese, sogni e visioni sfidando la forza della natura. Uno di questi è sicuramente il maestoso massiccio della Jungfrau (4.158 m) con il suo ghiacciaio Aletsch, il più grande delle Alpi. È questa una delle tappe più spettacolari ed emozionanti del nostro viaggio in cui la storia dell’alpinismo si mescola con l’amore per la scienza e l’ardire tecnologico.

La stazione ferroviaria Jungfraujoch è la più alta d’Europa, si trova a 3.454 m nel cuore del patrimonio Unesco “Alpi Svizzere Jungfrau-Aletsch”

La caratteristica distintiva dell’Oberland Bernese è la facilità con cui si raggiungono i vari punti che andiamo a toccare, grazie anche alla vicinanza tra i laghi e le vette. Non stupisce quindi fare colazione a Interlaken scrutando dalla finestra la cima dei monti su cui ci ritroviamo solo un paio di ore dopo.

Non andavo in montagna per morire, anzi. Ci andavo per vivere nella bellezza della natura, lontano dalle contaminazioni sociali, dalle certezze soffocanti e dalle false sicurezze.

Manolo, dal libro Eravamo immortali

Così accade per la visita al passo Jungfraujoch che raggiungiamo in un’ora e mezza: si parte in treno da Interlaken Ost per arrivare a Grindelwald, dove nel dicembre 2020 è stata inaugurata l’“Eiger Express”, una cabinovia modernissima che in venti minuti porta dritti al ghiacciaio dell’Eiger. Siamo di fronte a un’altra montagna imponente la cui parete nord ha rappresentato una delle sfide più dure nella storia dell’alpinismo e non a caso è stata chiamata Orco. Da qui ripartiamo in treno per percorrere la storica galleria che attraversa l’Eiger e il Mönch, un’opera avveniristica che risale alla fine dell’Ottocento, voluta dall’imprenditore Adolf Guyer-Zeller. La galleria richiese un lungo e difficile lavoro in quota portato avanti da 3mila operai. Gli scavi iniziarono nel 1896 e nel 1912 venne inaugurata quella che ancora oggi è la stazione ferroviaria più alta d’Europa a 3.454 m, nel cuore del patrimonio Unesco “Alpi Svizzere Jungfrau-Aletsch”. Dopo sette chilometri di galleria ci ritroviamo quindi sullo Jungfraujoch (3475 m). Raggiungiamo la terrazza panoramica della stazione meteorologica Sphinx e rimaniamo a bocca aperta di fronte ad un panorama mozzafiato. Siamo circondati dal bianco della neve e del ghiaccio, la luce è forte e anche il vento non scherza. Ci sono tre gradi, i guanti fanno comodo. Ad un passo da noi abbiamo la cima della Jungfrau, la dama bianca. Lo sguardo corre fra le vette, abbraccia a nord la regione di Interlaken per arrivare lontano al Giura, ai Vosgi e alla Foresta Nera mentre a sud contempla la distesa dell’Aletsch lunga 22 chilometri e spessa circa un chilometro. Una lingua di ghiaccio impressionante che inesorabilmente si sta sciogliendo per via del riscaldamento globale. Di questo e di molto altro parliamo con il Professore Markus Leuenberger dell’Università di Berna, che ci riceve all’interno dell’osservatorio Sphinx.

L’Aletsch

Si chiama Sphinx (sfinge in italiano) la stazione di ricerche alpine situata sullo Jungfraujoch, un nome suggestivo per una costruzione che guarda e studia il mondo dall’alto stando arroccata su uno strapiombo, con più cielo che terra intorno. Qui si trova la stazione meteorologica più alta d’Europa.

Si tratta di un progetto partito negli anni Venti del Novecento da un gruppo di ricercatori che si insediò a questa altitudine per studiare i ghiacci, una diretta conseguenza dell’arrivo della ferrovia in quota. Le foto dell’epoca ritraggono persone in mezzo alla neve con la piccozza in mano e grandi zaini sulle spalle. Alcuni sono seduti all’interno di laboratori naturali scavati nel ghiaccio e nella roccia, delle specie di igloo in cui sono stati collocati i vari strumenti. Sono ritratti di pionieri, con sguardi fieri e pelle arsa dal sole. In una foto di gruppo ci sono anche due donne avvolte nei loro eleganti cappotti di lana.

Si riuscì a completare la stazione solo nel 1931 mentre l’osservatorio venne inaugurato nel 1937. Nei primi decenni le ricerche erano legate non solo alla meteorologia e all’astronomia ma anche alla medicina. Presto divenne un centro di riferimento presso il quale arrivavano professionisti da tutta Europa. In particolare, la ricerca sui raggi cosmici diede i suoi frutti contribuendo a due Premi Nobel. Oggi le indagini sono focalizzate sul clima e sull’ambiente e la stazione fa parte della rete di monitoraggio internazionale “Global Atmosphere Whatch” e del “Network for Detection of Atmospheric Composition Change”. 

Entriamo nella “sfinge” e visitiamo i suoi spazi, ridotti ed essenziali. Una cucina condivisa, un bagno, lo studio e la biblioteca, cinque laboratori e poi un dormitorio con poche stanze spartane, simili a quelle di un rifugio. I locali sono attrezzati per viverci e due custodi devono essere sempre presenti. Colpisce la sobrietà di questo luogo che fa da contrasto al centro turistico che ci siamo lasciati alle spalle. Incrociamo un paio di ricercatori schivi mentre sulle scale ci fa strada il professor Markus Leuenberger dell’Università di Berna, direttore della Stazione di ricerca alpina Jungfraujoch e Gornergrat. Ci sorride e per prima cosa ci dice di camminare lentamente, perché a quest’altitudine l’aria è rarefatta e si fa fatica a respirare.

Il professore ci illustra i molteplici studi, in particolare il monitoraggio della radiazione solare e atmosferica che descrive l’effetto serra nelle Alpi e il monitoraggio sulla quantità di CO2 rilasciata nell’atmosfera a causa dei combustibili fossili. Ci soffermiamo sulla condizione preoccupante dell’Aletsch le cui misurazioni sulle variazioni di lunghezza, bilancio di massa e volume del ghiaccio documentano l’avanzare dei cambiamenti climatici.

“Mi occupo di fisica dell’ambiente e del clima e mi ritengo fortunato nel poter dirigere questo osservatorio in cui arrivano molte persone da tutto il mondo” ci racconta il professor Leuenberger. “Siamo in un posto estremamente affascinante con un’incredibile vista a sud sul ghiacciaio dell’Aletsch. Negli ultimi decenni stiamo studiando in particolare i cambiamenti climatici. L’Aletsch si estende per più di 22 chilometri in lunghezza ma ha perso più di 3.300 metri negli ultimi secoli. Sfortunatamente per le emissioni di CO2 che causano l’aumento della temperatura si sta ritirando abbastanza velocemente. All’inizio del prossimo secolo, quindi all’inizio del 2100, perderemo gran parte di questo enorme ghiacciaio se non decidiamo di agire immediatamente. Dobbiamo agire ora e arrivare a zero emissioni di CO2 al più tardi nel 2050. La società di tutto il mondo deve cambiare: dobbiamo eliminare gradualmente l’uso dei combustibili fossili e rendere il pianeta vivibile, sennò perderemo luoghi meravigliosi come questo”.

Dicevamo che ci sono luoghi che contengono una lunga storia, come la Jungfrau e l’Aletsch. Sono luoghi che ci parlano e ci chiedono di essere non solo ammirati ma anche ascoltati.

Jungfraujoch. Cosa fare e vedere sul tetto d’Europa
Due milioni di visitatori all’anno arrivano da tutto il mondo per salire su quello che viene chiamato Top of Europe, il tetto d’Europa. All’interno di questa struttura si trovano diversi spazi: “Sensazione alpina” è il percorso che ricostruisce la storia della ferrovia della Jungfrau con installazioni multimediali. ll “Palazzo di ghiaccio” è l’affascinante galleria artificiale scavata nel ghiaccio dalle guide alpine negli anni Trenta. Oggi vi si trovano sculture in ghiaccio create da vari artisti. All’esterno ci sono la grande terrazza e il “Plateau” che vi porterà direttamente a mettere i piedi nella neve. Per una passeggiata si può seguire il sentiero attrezzato che in un’ora porta al rifugio Mönchsjoch, il più alto della Svizzera.

5. Il lago di Brienz

Nonostante si somiglino per la forma, il colore delle acque e il paesaggio in cui sono immersi, il lago di Brienz e quello di Thun regalano suggestioni differenti. Il lago di Brienz è più piccolo (30 km²), si allunga tra sponde molto ripide con pochi villaggi in cui si respira un’atmosfera più selvatica e rurale, legata a tradizioni antiche e ai ritmi di vita del mondo contadino.

Sul lago di Brienz s’incontrano tradizioni antiche come l’intaglio del legno, la liuteria e l’uso del corno delle Api

Iseltwald

Lungo la riva meridionale ci fermiamo a Iseltwald, un paese incantevole che conta circa 400 abitanti. Il suo castello si staglia sul lembo di terra che protende nel lago mentre lungo l’insenatura si affaccia il porticciolo dove una manciata di barche galleggia indisturbata. Bastano due passi per sentirsi lontani dalle rotte turistiche, immersi nella tranquillità e nella natura. Ci dirigiamo così verso la parte alta del paese passeggiando tra gli chalet che sembrano sfidarsi con i balconi in fiore e raggiungiamo la fattoria Schiltenof, dove ci aspetta Sonja che con suo marito manda avanti l’attività. Insieme si occupano del bestiame e con metodi rigorosamente bio producono miele, formaggi, succo di mela, confetture e altre prelibatezze. Dagli Schilt i turisti possono sperimentare un pernottamento insolito. Infatti, quando d’estate le signore mucche lasciano la stalla per andarsene in alpeggio, è possibile occupare i loro letti dormendo sulla paglia con cuscino e lenzuolo.

Mentre Sonja ci spiega le sue ricette incrociamo lo zio Ernst, classe 1942. Occhi brillanti e un fare genuino, ci fa cenno di seguirlo. Arriviamo così nel piccolo laboratorio sotto casa dove ci mostra i suoi tesori: i corni delle alpi che costruisce con le sue mani. “Ho imparato a suonare da piccolo da autodidatta”, ci racconta. “Mio zio suonava il corno e volevo imitarlo. Fa parte della nostra tradizione, i contadini lo usavano per comunicare da un alpeggio all’altro. Si avvisavano dell’arrivo della pioggia, degli smottamenti o dello smarrimento di un capo di bestiame. È diventato poi uno strumento musicale per esibirsi nelle feste popolari. È la mia arma, fa parte di me”. Mentre parla assembla con cura le parti di un corno poi si ferma, tira un respiro e suona. Noi rimaniamo zitti, commossi. E torniamo a pensare alla bellezza del viaggio che è prima di tutto incontro.

Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo. Seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro e il posto più insignificante della terra diventa un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.

Tiziano Terzani

Il corno delle Alpi
Il corno delle Alpi assomiglia ad una lunga tromba di legno senza pistoni o fori, con un padiglione finale ricurvo e un bocchino che facilita la trasmissione delle vibrazioni delle labbra. Veniva utilizzato dai pastori in diversi modi: per richiamare le mucche dal pascolo, per la preghiera, per raccogliere l’elemosina ma soprattutto per comunicare tra le valli. Dopo il 1800 perse in parte queste funzioni e si cominciò a utilizzare come strumento musicale durante le feste. L’Associazione svizzera di jodel (fondata nel 1910) lo ha riscoperto e promosso. Al momento conta tra i suoi membri circa 1800 musicisti in Svizzera e nel mondo. I musicisti si esibiscono in eventi come la Festa federale di jodel e l’Alphornfestival di Nendaz. Negli ultimi anni il corno delle Alpi è stato introdotto anche nella worldmusic, nel jazz e nel rock etnici. Si può suonare in duetto, terzetto, quartetto e in coro.

Da Iseltwald passa il percorso delle tre cascate, che parte da Bönigen e arriva a Brienz, tra prati, boschi, rocce e l’azzurro del lago. Tocca le cascate di Eschwanden, di Mülibach (al di sopra di Iseltwald) e quelle di Giessbach. Il sentiero in totale conta 18 chilometri ed è adatto a tutti. Noi ci dirigiamo verso Giessbach.

Cascate Giessbach e Grandhotel

Sono imponenti le cascate di Giessbach, quattordici salti dove l’acqua corre con tutta la sua forza per 500 metri d’altezza fino a buttarsi nel lago di Brienz. Da dovunque le si osservi – dal basso, dalla passerella che le attraversa, dal passaggio scavato nella roccia – sono uno spettacolo che travolge i sensi.

In questa meravigliosa cornice naturale, nel 1875 venne inaugurato il Grandhotel Giessbach, disegnato dall’architetto francese Davinet (lo stesso del Grand Hotel Victoria-Jungfrau di Interlaken). La struttura attirò turisti da tutto il mondo che con il battello attraversavano il lago e dall’imbarcadero salivano all’ingresso dell’hotel con quella che è la funicolare più antica d’Europa. Una favola, insomma. Dopo la fortuna iniziale, il Giessbach andò incontro a una storia travagliata. Subì un incendio nel 1883 e cadde poi in disuso durante la seconda guerra mondiale rischiando così di essere smantellato. Fu l’ambientalista Franz Weber nel 1982 a lanciarne l’azione di recupero con una raccolta di donazioni “pubbliche” che andò a buon fine. Oggi abbiamo sotto gli occhi un gioiello storico e architettonico, uno scrigno che contiene innumerevoli opere artistiche, arredato completamente in stile belle époque. Ogni stanza è differente perché allestita con mobili d’epoca che le persone hanno donato.

L’aggettivo romantico non basta per descrivere questo luogo magico in cui gli oggetti sembrano avere mille storie da raccontare e ogni dettaglio esprime cura: dai fiori sui tavoli del ristorante Tapis Rouge alle materie prime utilizzate in cucina. Forte è l’interesse per il tema della sostenibilità che si declina in diversi modi: dal rispetto dell’ambiente naturale circostante (22 ettari di parco) alle pratiche legate al riciclo, dall’uso in cucina di prodotti del territorio alla valorizzazione generale di questo luogo considerato patrimonio pubblico.

In quest’ottica è stata recentemente restaurata un’antica serra affidata alla rete Pro specie rara che si occupa di salvaguardare la biodiversità e che coinvolge persone con disabilità. Insomma, al Grandhotel Giessbach non regna lo sfarzo ma l’attenzione e la consapevolezza verso un monumento da proteggere. Anche questo significa saper guardare lontano: volgere lo sguardo al passato e riconoscere il valore di ciò che il tempo ci ha consegnato. Lo sguardo si allunga tra le sublimi vette alpine e scendendo incontra la cultura e le storie antiche racchiuse nell’Oberland Bernese. Un territorio che si rivela cornice spettacolare e autentica per il sogno.

Il ristorante Tapis Rouge presso il Grandhotel Giessbach © Paola Piacentini