Domenica 14 maggio in Turchia si tengono le elezioni presidenziali e parlamentari e questa tornata può facilmente trasformarsi in un punto di svolta per il paese euroasiatico. Per la prima volta in vent’anni l’Akp ed Erdoğan rischiano di non governare più la seconda potenza militare della Nato. Le principali opposizioni si sono riunite per sostenere un unico candidato, Kemal Kılıçdaroğlu, che già in passato ha sfidato il sultano di Ankara. I sondaggi parlano di un testa a testa, ma il risultato elettorale è imprevedibile. E ne è consapevole lo stesso Erdoğan che tenta il tutto e per tutto per vincere le elezioni, alzando del 45 per cento lo stipendio minimo dei dipendenti pubblici a 5 giorni dal voto.

I principali candidati alla presidenza della Turchia

Il sistema elettorale turco prevede che, per vincere, sia necessario il 50 per cento più uno dei voti al primo turno; in caso contrario, i due candidati più votati si sfideranno al ballottaggio. Questo sistema dà una grande importanza alle coalizioni: tanto più grandi sono le coalizioni, tanto più è alta la possibilità di vincere le elezioni.

La coalizione che supporta il presidente uscente Erdoğan, l’Alleanza del popolo, è composta dal suo partito di giustizia e sviluppo, l’Akp, dai nazionalisti dell’Mhp e da un piccolo partito islamista, il Yeniden Refah. 

Il suo principale sfidante è Kılıçdaroğlu, il leader del Chp, il partito repubblicano erede del kemalismo, che è riuscito a creare un fronte unico di opposizione per contrastare Erdoğan. L’Alleanza Nazionale, denominata anche il “tavolo dei sei” è composta dal Chp e da altri cinque partiti provenienti da tutto lo spettro politico turco: partiti di sinistra, centro destra, nazionalisti e anche islamisti. Tutti insieme, hanno deciso di appoggiare Kılıçdaroğlu in ottica anti Erdoğan. Questa scelta evidenzia come negli ultimi vent’anni la Turchia abbia superato la storica divisione tra laici contro conservatori, sviluppandone una nuova: pro Erdoğan contro anti-Erdoğan.

Alla politica machista, dell’uomo forte solo al potere di Erdoğan, Kılıçdaroğlu contrappone una politica più responsabile, di compromesso. Tra le proposte più importanti di Kılıçdaroğlu c’è quella di voler riportare la Turchia ad essere una repubblica parlamentare – la Turchia è una repubblica presidenziale dal referendum voluto da Erdoğan nel 2017 – proprio perché, secondo lui, è la forma di governo che mantiene un equilibrio tra le varie istituzioni.

L’imprevedibilità del risultato del 14 maggio

Sono diversi i fattori che rendono imprevedibile il risultato di queste elezioni. Il primo sono gli indecisi. Il secondo è Muharrem İnce, un altro candidato alle presidenziali che è abbastanza popolare. Nel 2018 è stato il candidato del Chp contro Erdoğan, nel 2021 ha fondato il suo partito e ora corre da solo per la presidenza. Secondo gli ultimi sondaggi, si aggira intorno al 5-10 per cento dei voti, attirando principalmente i voti di alcuni elettori del Chp che non si rivedono nella figura di Kılıçdaroğlu. 

Terzo, il ruolo dell’Hdp, il partito pro curdi, rappresentante circa il 12% dell’elettorato, che non ha presentato nessun candidato e che ha annunciato, a fine aprile, di voler appoggiare la candidatura di Kılıçdaroğlu

Poi c’è la questione dei voti all’estero. La diaspora turca è molto grande, sono registrati nei registri elettorali dei consolati turchi in giro per il mondo, circa 3,5 milioni di cittadini, che possono muovere gli equilibri. Nelle elezioni del 2018 circa il 60 per cento dei cittadini all’estero ha votato per Erdoğan.

Ultimo punto, ma non meno importante, sono le elezioni parlamentari, che si terranno lo stesso giorno: i turchi potranno decidere di disgiungere il voto, il che potrebbe portare ad una maggioranza parlamentare di una coalizione diversa da quella del presidente, e questo scenario potrebbe aggravare ancora di più le divisioni politiche interne al paese.

La crisi economica turca

A impattare sulla scelta degli elettori turchi alle urne c’è certamente il crollo dell’economia. Agli inizi degli anni 2000 Erdoğan è stato in grado di trasformare l’economia turca, favorendo lo sviluppo economico che ha permesso a molti cittadini di salire l’ascensore sociale ed entrare a far parte della classe media, un fattore che gli ha permesso di avere il supporto di gran parte della popolazione per quasi vent’anni.

Erdoğan ha anche rivalutato la lira turca, il che ha permesso di mantenere sotto controllo per almeno 15 anni l’inflazione, ma negli ultimi anni l’economia è stata disastrosa. I fattori sono molteplici: la questione legata alla sicurezza del conflitto in Siria, l’impatto della gestione di 3,6 milioni di rifugiati e, soprattutto, la pandemia di Covid-19.

Tuttavia, ad impattare l’economia, ci sono state anche decisioni sulla politica interna, come quelle di tagliare i tassi di interessi o gli enormi sussidi per l’energia, che hanno spaventato i mercati internazionali. Di conseguenza, la lira turca è crollata: il tasso di cambio euro/lira turca oggi è di 1/21,4. Il valore dei risparmi dei cittadini oggi valgono un decimo rispetto a 10 anni fa. L’inflazione è cresciuta drasticamente, nell’ottobre 2022 ha superato quota 80%; recentemente è scesa, ma siamo ancora oltre il 50 per cento. La crisi sta impattando drasticamente tutta la popolazione, in particolare i più poveri. La qualità della vita è drasticamente cambiata nel giro di pochissimi anni.

Gli effetti politici del terremoto in Turchia

Sin dalle prime ore dopo le scosse di terremoto che hanno colpito il 20 febbraio 2023 la Turchia meridionale e il nord della Siria, gli analisti politici si sono chiesti come il sisma avrebbe impattato le elezioni del paese anatolico. 

Ci sono state più di 50mila vittime, circa due milioni di sfollati e le città completamente distrutte. L’inadeguata risposta del Governo di coalizione all’ultimo grande terremoto che ha colpito il paese nella provincia nordoccidentale di İzmit nel 1999 è stata ampiamente considerata un fattore determinante per l’ascesa dell’Akp; ora, la lentezza dei soccorsi nei primi giorni del terremoto posso essere un boomerang per lo stesso partito. Anche Erdoğan ha ammesso gli errori e la lentezza nei soccorsi.

I danni agli edifici hanno fatto mettere in dubbio le modalità con cui l’esecutivo ha fatto rispettare il codice degli appalti, altro problema emerso dopo il terremoto del 1999. Si è tornato anche a parlare della cosiddetta “banda dei cinque”, amici d’affare di Erdoğan, che, negli ultimi vent’anni, hanno guadagnato miliardi di dollari in appalti pubblici. Imprevedibile sapere come voteranno i cittadini delle aree colpite dal sisma. Le regioni meridionali sono tra le più tradizionaliste e legate all’Akp, c’è chi potrebbe votare in protesta contro il governo e chi, ancora oggi, vede in Erdoğan il salvatore.