Diritti umani

Nel 2015 uccisi 185 militanti ecologisti. Uno ogni 48 ore

Un rapporto di Global Witness spiega che il 2015 è stato un anno nero. Il numero di militanti ecologisti uccisi è cresciuto del 73% rispetto al 2014.

Solamente nel 2015, 185 militanti ecologisti sono stati uccisi in sedici diverse nazioni per via del loro impegno in difesa dell’ambiente. Il che significa un morto ogni due giorni. A denunciarlo è un rapporto della Ong britannica Global Witness, pubblicato nello scorso mese di giugno, che sottolinea come il dato risulti in crescita del 73 per cento rispetto all’anno precedente.

 

Da Michelle Campos a Berta Caceres

L’associazione inglese ripercorre alcuni tra i casi più eclatanti che hanno contrassegnato il macabro susseguirsi di omicidi. Nel settembre del 2015, ad esempio, il padre e il nonno di Michelle Campos, nelle Filippine, sono stati assassinati da un gruppo paramilitare davanti agli occhi di familiari e amici. La loro colpa era di rifiutare la concessione delle loro terre per essere sfruttate dalle industrie minerarie.

Il 4 marzo di quest’anno, poi, è stata uccisa Berta Caceres, premio Goldman per l’ambiente nel 2015, considerata in Honduras una figura-simbolo per il suo impegno in difesa dei diritti delle popolazioni indigenze. Senza dimenticare tutti coloro che vivono nella paura, minacciati per le loro idee e il loro impegno. Come Diana Rios, brasiliana che nonostante l’uccisione di suo padre, non ha rinunciato al suo ruolo di “guardiana della foresta”.

 

“In Brasile uccidere i militanti ecologisti è diventato accettabile”

Proprio la nazione asiatica risulta la più pericolosa al mondo per gli ecologisti: sul suo territorio le vittime sono state ben 50 in un solo anno. Al secondo posto figurano le Filippine, con 33 morti, quindi la Colombia, con 26. Il Brasile, dunque, risulta saldamente sul gradino più alto del podio di questa drammatica classifica. In un’intervista al Guardian, Felipe Milanez, giornalista specializzato sulle vicende della foresta amazzonica ed ex direttore del National Geographic brasiliano, ha spiegato che ormai nella nazione latinoamericana “uccidere è diventato politicamente accettabile se in gioco ci sono interessi economici. In dieci anni di lavoro, non ho mai visto una situazione così difficile”.

“L’industria mondiale si spinge via via più lontano nel tentativo di ottenere le materie prime necessarie per rispondere alla domanda dei consumatori. E le comunità locali che si oppongono si ritrovano nel mirino non solo delle imprese private ma anche, a volte, delle istituzioni”, ha spiegato l’associazione. Non a caso, “il mercato dei sicari risulta in piena crescita”. Inoltre, prosegue il rapporto di Global Witness, il totale di 185 morti potrebbe risultare perfino sottostimato. È probabile infatti che numerose uccisioni possano non essere state riferite né dalle forze dell’ordine né dalla stampa.

 

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