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I ragazzi del mercato di Milano: Recup contro lo spreco di cibo

Questa è la storia di una lotta contro lo spreco di cibo e l’esclusione sociale. La storia di Alberto, Rebecca, Elena e di tutti i volontari di Recup, che ogni giorno fanno qualcosa di tanto semplice quanto difficile: recuperano il cibo nei mercati prima che venga buttato e lo redistribuiscono a chi ne ha bisogno.

Cosa, come, quando: la storia di Recup

Nata a Milano per poi diffondersi a Roma e a Busto Arsizio, l’associazione Recup recupera frutta e verdura invenduta ma ancora edibile nei mercati rionali cittadini e al mercato centrale all’ingrosso di Milano. “Si dice Recup, con la u. Come recupero” mi rimproverano subito, “ed è un progetto contro lo spreco alimentare che nasce nella mia mente nel 2014”. Parla Rebecca, la fondatrice dell’associazione “di volontari”, ci tiene a specificare, che durante un periodo di studio in Francia, tra un dumpster diving e un esame di sociologia, incontra il pre Recup francese. Si trattava di un gruppo di ragazzi che recuperava la frutta e la verdura invenduta a fine dei mercati rionali, che sarebbe altrimenti finita nel cassonetto.

Tutto è iniziato con dei peperoni. Chili e chili di peperoni.

Al suo rientro in Italia, Rebecca ha iniziato ad andare al mercato a chiedere ai commercianti se avessero un surplus di frutta e verdura a fine giornata. E qui entrano i peperoni. Le prime verdure recuperate da quella che sarebbe diventata Recup sono stati i peperoni, 30 casse di bei peperoni rossi e gialli, praticamente ancora perfetti, ma invenduti. 30 casse sono tante, e Rebecca ricorda come “alla felicità si sommò lo scompenso: cosa ne faccio ora?

In realtà, è stato più semplice del previsto”: sono bastate un paio di persone in più, un po’ di passaparola ed è iniziato tutto. Sono nati così i punti di ritrovo nei mercati cittadini, dove ancora oggi chiunque può andare alla ricerca dello scarto ortofrutticolo. Fin dall’inizio in realtà, Rebecca aveva già in mente tutto il progetto, e anche di più. Guardare avanti non è mai stato un problema per lei.

“Mi sono avvicinato a Recup grazie a un post su Facebook”

Così è stato il primo approccio di Alberto con l’associazione. Lo spirito associazionistico nato con gli scout ha fatto appassionare Alberto fin da subito a Recup e da quel venerdì mattina al mercato in via Padova non se n’è più andato. Dal primo anno di attività, Alberto è il presidente di Recup: in questi cinque anni ha capito che è (e sarà) il suo progetto di vita. La sua ambizione è riuscire a dedicare i prossimi dieci, venti, trent’anni a portare avanti il progetto: recuperare cibo, dargli valenza sociale e diminuire l’impatto ambientale.

Dalla teoria alla pratica, nasce Recup

Nel 2016 è nata ufficialmente l’associazione a promozione sociale Recup, che recupera il cibo prima che venga buttato e lo redistribuisce a chiunque voglia prenderlo. Il valore aggiunto dell’associazione è la selezione. “Non siamo i soli e recuperare e distribuire aiuti alimentari, ma siamo i soli ad accettare tutta la frutta e la verdura, anche quella non più commestibile”. Una volta che il commerciante lascia le cassette di frutta e verdura invenduta, i volontari fanno la cernita: mele buone da una parte, mele non buone dall’altra. Ad oggi quindi, il recupero si avvicina ma non è sempre al 100 per cento: l’obiettivo per il futuro è proprio questo.

Lo spreco di cibo, l’indignazione e l’oggi

L’idea è buona quanto semplice: perché buttare del cibo ancora edibile? Sia l’etica che la sostenibilità storcono il naso quando sentono parlare di spreco alimentare. “Ai miei tempi, non si buttava niente: dal pane vecchio alle bucce delle mele”. È vero, così come è vero che siamo la parte fortunata del mondo, quella che può sprecare cibo, perché ne ha fin troppo. Che sia per retaggio culturale o per etica, è chiaro che ci indigniamo molto davanti allo spreco di cibo: non si fa.

Senza pensare poi che lo spreco alimentare è responsabile del 6 per cento delle emissioni globali di gas serra. Per produrre il cibo che buttiamo esistono dei costi ambientali che non vediamo, ma che hanno impattato sull’ambiente. Quando buttiamo una mela, in realtà stiamo buttando anche altro, il fertilizzante usato per l’albero, l’acqua per annaffiarlo, la manodopera per raccogliere la mela, le emissioni del trasporto su strada.

Il logo di Recup @LifeGate

Il logo di Recup contiene una banana perché sono proprio le banane il frutto più sprecato. Certo, lo spreco è sempre spreco, ma la filiera della banana è utile per farci riflettere. Da India, Brasile o Ecuador le banane sono chiamate fruta quimica. Questo perché la coltivazione delle banane usa più prodotti di sintesi classificati come pericolosi dall’Oms di qualsiasi altra piantagione di frutta al mondo. I metodi di coltivazione possono distruggere ecosistemi, contaminare corsi d’acqua, causare deforestazione. I lavoratori spesso non sono tutelati come dovrebbero. Aggiungiamo il trasporto dall’altra parte del globo e che sovente buttiamo via tutto nel cestino dell’immondizia. Fastidioso, vero? Tutto questo, nella spazzatura. Meglio di no.

Volontari a lavoro @LifeGate

Il cibo che perde valore economico acquista valore sociale

Rebecca Zaccarini di Recup

Recup Recupera: dai mercati rionali al mercato all’ingrosso di Milano

Il mercato ortofrutticolo di Milano è un grande labirinto di cemento. Quattro padiglioni, uno dietro l’altro, pieni di colori: giallo banana, rosso mela, blu mirtillo. Da mezzanotte alle otto del mattino, centoventi commercianti propongono frutta e verdura proveniente da tutto il mondo ai clienti: il mercato è cosmopolita. Abbiamo l’Italia e le sue verdure (più o meno di stagione), la Spagna, e le sue belle arance sode, il Brasile, con i meloni gialli (ma chi li mangia i meloni d’inverno?). Le persone chiedono, il mercato vende. Qualsiasi cosa. I commercianti all’inizio erano un po’ diffidenti, ma oggi sono molto sensibili all’argomento spreco. “Sono le ultime ore del loro lavoro, ma una mano ce la danno volentieri”, racconta Elena.

Volontari durante il giro tra i banchi del mercato @LifeGate

Nei primi due anni i volontari erano una trentina, di cui otto nel direttivo dell’associazione. Nel 2020, la Covid-19 ha fatto esplodere Recup: i volontari sono diventati trecento, di cui settanta operativi nei mercati, gli altri come soci sostenitori. Oltre all’azione sui mercati rionali, dalla seconda metà di aprile 2020, Recup fa parte del programma Dispositivo aiuto alimentare messo in campo dal Comune di Milano presso il mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Milano. La Covid-19 ha avuto un forte impatto anche a livello sociale. Le persone sulla soglia della povertà alimentare sono aumentate, il che ha reso ancora più urgente l’azione anti spreco di cibo. Recup ha partecipato alle operazioni di assemblaggio dei pacchi di aiuti e ha come sempre salvato la frutta e la verdura che rischiavano di essere buttate. E l’azione non si è ancora conclusa.



All’ortomercato si è registrato un cambiamento fondamentale nelle modalità della distribuzione di Recup: non sono più i singoli cittadini bisognosi che vanno a salvare il cibo come succede nei mercati cittadini, ma la frutta e la verdura recuperata dai volontari è donata a Caritas e alle altre realtà sociali che materialmente la distribuiscono a chi ha bisogno, conoscendo bene il territorio e le famiglie.

Sono tante le cooperative sociali che si servono di Recup. Sono tante le persone che hanno bisogno di ciò che altri butterebbero.

Troppo spesso il cibo viene prodotto non per essere mangiato, bensì venduto; bisogna tornare ad avere un giusto rapporto con il cibo

Carlo Petrini

60 elefanti di cibo salvato: i numeri dello spreco

All’ingresso di un mercato ortofrutticolo c’è sempre un misto di emozioni. Felicità, nel vedere una forma sociale di spesa alimentare, impazienza di comprare quei colori sgargianti, e dubbi sulla fine che faranno le verdure rimanenti a fine giornata.

Lo spreco di cibo esiste ed è fra noi. Ma cos’è lo spreco di cibo? La Fao distingue le perdite alimentari (food loss) dallo spreco alimentare (food waste). Il food loss “è qualsiasi alimento che viene scartato, incenerito o altrimenti smaltito lungo la filiera alimentare escluso il livello della vendita al dettaglio”. Ovvero il cibo che viene sprecato prima di arrivare nelle nostre mani (o in quelle di rivenditori di alimenti o dei ristoranti). Il food waste è invece lo spreco di cibo nell’ultima fase della filiera. Si tratta di cibo che viene scartato perché non conforme per forma, dimensione e colore dagli standard. O perché va a male. Recup opera nella parte finale della filiera, quella che coinvolge i commercianti, i ristoratori e i consumatori finali. Intercetta ciò che il commerciante butterebbe.

Ogni giorno, Recup salva fino a due tonnellate di ortofrutta. Nel 2021 ha recuperato 327 tonnellate di cibo ancora edibile, l’equivalente di sessanta elefanti e tre coccodrilli. Frutta e verdura che, meticolosamente controllata, è stata donata alle associazioni sociali del territorio e donata a chi ne ha bisogno.

I pancali di cibo recuperato @LifeGate
I pancali di cibo recuperato @LifeGate
I pancali di cibo recuperato @LifeGate

Alle volte sono solo un paio di casse, alle volte sono pancali di broccoli romano. Un pancale può contenere anche 32 cassette. Arrotondando per difetto a 20 chili a cassetta, sono 652 chili di broccolo romano salvato dalla spazzatura. Ancora perfettamente edibile, solo meno bello di qualche giorno prima.

Si tratta forse di cibo che ha perso valore economico ma che acquista valore sociale. Di aiuto, di comunità.

Oggi mangiare per noi è scontato, come scontato è lo spreco.

Umberto Veronesi

La giornata di un volontario di Recup inizia all’alba

Ore 6:30 sveglia.

Ore 8 caffè davanti all’ingresso del mercato.

Dalle 9 alle 11 parte il recupero di cibo, altro caffè alle 11:30 e poi via a continuare la vita”

Questa è la routine che da un anno e mezzo si è sommata alle attività di recupero quotidiana nei mercati cittadini. Ogni martedì e giovedì, Alberto, Rebecca e il gruppo di volontari va a salvare il cibo al mercato centrale di Milano. Lo spazio a loro disposizione è gentilmente concesso da un produttore locale, che lo usa poco. Un tavolo, una bilancia scassata e una lavagna. “La lavagna è molto importante, perché lì scriviamo sia la frutta e verdura che recuperiamo, sia quella che va scartata perché non commestibile. Per differenza riusciamo così ad avere la quantità di cibo effettiva che siamo riusciti a salvare”. Più è alta la percentuale del recupero, più c’è soddisfazione. Ma contemporaneamente, più è alto il numero dei chili di cibo recuperati, più c’è il magone. Cosa succederebbe se non ci fosse Recup?

La lavagna mostra la quantità effettiva di cibo recuperato @LifeGate

“Ho sempre in testa Recup, è il mio mantra quotidiano”, racconta Alberto, ed è seriamente così. L’iniziativa permea la sua quotidianità come volontario, ma anche i contesti lavorativi. Ogni stimolo o nuova idea sono diretti allo sviluppo del progetto. Come dargli torto in effetti?

E dopo? L’impresa sociale.

Dopo cinque anni, Rebecca si rende conto di quanto grande sia diventata l’associazione e di quanto sia necessario il passaggio a impresa sociale. “Ho fatto un Master in imprenditoria sociale proprio per questo. I miei sono lavori a ore, poco impegnativi, perché Recup assorbe tutto il mio tempo. In modo positivo, ma è arrivato il momento di trovare un supporto economico: siamo sempre studenti ribelli, ma vogliamo fare di più”.

Certo, non è facile. I problemi? La burocrazia, la lentezza: tutte cose già sentite in Italia. Un’Italia che sembra far fatica a restare al passo di brillanti idee, che sembrano così fattibili nella mente dei giovani, e che si scontrano con un’architettura burocratica quanto meno intricata.

“Stiamo cercando la sostenibilità anche economica del progetto, perché altrimenti non resiste”, racconta Alberto. Anche perché, le idee per il futuro sono interessanti: un doppio salvataggio di cibo. Nonostante gli sforzi, infatti, non tutta la frutta e la verdura recuperata può essere distribuita. C’è il kiwi troppo maturo, la banana schiacciata, il melone ammuffito che adesso devono essere buttati. Ma in futuro non più (incrociando le dita).

Lo spazio di Recup al mercato ortofrutticolo di Milano @LifeGate

L’obiettivo di Alberto, Rebecca, Elena e Recup è infatti quello di aprire un laboratorio che trasformi la frutta e verdura che non può essere distribuita in mangimi per animali. “Stiamo cercando di capire con dei veterinari come trasformare parte del cibo recuperato in farine per l’allevamento”, spiega Alberto. Un progetto doppiamente sostenibile: anti spreco ma anche anti soia. La farina di caco o di banana può sostituire in parte la farina di soia usata nei mangimi, una coltivazione spesso causa di deforestazione. È un win to win per tutti: Recup, i commercianti, il mercato, il comune di Milano, il pianeta.

Non solo mangime, ma anche biogas. Gli ortaggi inutilizzabili per i mangimi potranno diventare anche energia. Il biogas è una miscela di vari tipi di gas prodotti dalla fermentazione in assenza di ossigeno di residui organici, scarti dell’ortofrutta compresi. “Mi immagino il mercato centrale di Milano che autoproduce l’energia per le celle frigorifere proprio da quello stesso prodotto contenuto nelle celle frigorifere. Non sarebbe perfetto?”.

Più Recup per tutti

Recup recupera cibo invenduto nei mercati milanesi. Recup è fatto di persone, è nato e vive grazie al quotidiano impegno di volontari e volontarie legati da valori comuni.

L’azione attuale e la futura impresa sociale al mercato all’ingrosso di Milano non solo è fondamentale per combattere lo spreco di cibo, ma potrebbe essere un esempio per altre realtà italiane. Questo è un mercato, il più grosso certo, ma uno. Ogni provincia ha il proprio, alcune grosse realtà hanno mercati privati, poi ci sono i porti con i centri logistici di smistamento, le dogane, gli aeroporti… Tonnellate di cibo potrebbero beneficiare di questa esperienza.

L’esterno del mercato ortofrutticolo di Milano @LifeGate

Se riuscissimo a ridurre gli sprechi, la strada verso la transizione ecologica sarebbe più semplice. Certo, le curve ci saranno sempre, così come le deviazioni e tanti semafori rossi. Eppure, Rebecca, Alberto e tutti i volontari di Recup si stanno preparando al viaggio, per mostrare come lo spreco di cibo possa diventare una risorsa entrando a far parte di un percorso di economia circolare.

I ragazzi del mercato di Milano stanno pensando al nostro futuro.

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