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Lo spirito del Tor. L’avventura di trail running in solitaria tra le montagne valdostane

Daniele Persico ha fatto in solitaria uno dei trail più duri al mondo, per raccontare il suo spirito, quello della montagna e delle persone che la abitano. La sua avventura è diventata un documentario: Lo spirito del Tor.

In dialetto patois valdostano, Tor des Géants significa letteralmente “Giro dei giganti” e per la gara di trail running – specialità di corsa a piedi in ambiente naturale – più dura al mondo, che passa accanto alle montagne più belle della Valle d’Aosta – Monte Bianco, Monte Rosa, Gran Paradiso, Cervino – non poteva esserci nome più azzeccato.

Creata nel 2010, i suoi partecipanti – che non possono essere più di 750 e che vengono scelti con un processo di estrazione – partono da Courmayeur, attraversano 34 comuni, percorrono i sentieri delle Alte Vie della regione e tornano poi nella città di partenza. Per essere più tecnici e affidarci ai numeri, si tratta di 330 chilometri di lunghezza, 24mila metri di dislivello positivo, 150 ore il tempo massimo concesso, più di quaranta punti di ristoro, riposo e soccorso, 7 basi di accoglienza, 7 settori del percorso.

Ma oltre i dati, c’è la realtà di una gara a dir poco sfidante: in media solo il 50 per cento dei partecipanti arriva al traguardo, il 4 per cento di loro finisce in ospedale per motivi quali traumi e infiammazioni ma anche bronchiti, disidratazione o mal di montagna; per non parlare poi degli effetti della mancanza di sonno e dell’imprevedibilità del meteo che può essere anche mortale. Eppure, nonostante tutto questo, la gioia di avercela fatta, di essere arrivati, di rimettere piede a Courmayeur dopo un viaggio sulle proprie gambe che sembrava infinito cancella i numeri e gli ostacoli.

Daniele Persico © Babel Collective

Questo si sarebbe dovuto ripetere nel settembre del 2020, finché una pandemia ha fermato il mondo e dunque anche una delle gare più attese nel panorama del trail internazionale. Tra quelli pronti a partire, scelti dall’organizzazione, c’era anche Daniele Persico, giovane ingegnere bergamasco trapiantato a Genova e appassionato di montagna, alla sua seconda esperienza con il Tor. Ma anche se l’evento ufficiale era oramai cancellato, un altro genere di avventura stava per iniziare.

Ho scoperto per caso dell’esistenza del Tor des Geants grazie ad un articolo su La Gazzetta dello Sport letto anni fa. Il primo pensiero è stato: “Questa roba qui è impossibile!”, mi sembrava al di fuori della portata di una persona normale. Quando poi ho cominciato a correre più seriamente, soprattutto in montagna, l’ho riscoperta ed è diventata un tarlo.

Daniele Persico

Una gara alternativa e il documentario Lo spirito del Tor

È da Emanuele Cucca, amico di Daniele Persico, che nasce l’idea di raccontare la sua esperienza al Tor des Géants: il piano originale è quello di seguire e raccontare la gara convenzionale nell’estate del 2020 assieme agli altri ragazzi del collettivo milanese di videomaker Babel Collective – Daniele Lazzaretto, Dario Fortunato e Alexo Athanasios – ma quando questa sfuma per via della Covid-19 si apre la strada per un progetto ancora più interessante.

Grazie ai sopralluoghi nelle valli valdostane, all’organizzazione e al coinvolgimento di 8 rifugi, comprendono che Daniele Persico può ancora correre il suo Tor des Géants, seppur non quello ufficiale, nonché mettere alla prova se stesso sia da un punto di vista fisico, sia da un punto di vista mentale, e loro possono raccontare quella storia dandole la forma di un documentario dal titolo “Lo Spirito del Tor”, di cui LifeGate ha supportato la creazione come media partner.

© Babel Collective

Della gara ben nota non cambia molto e infatti Daniele Persico parte, in solitaria, da Courmayeur la mattina del 13 settembre 2020, salutato e spronato da parenti e amici.

Quando Emanuele mi ha proposto l’ipotesi di fare la gara da solo, ero incredulo. Oggettivamente mi sembrava improbabile, anche se mi affascinava moltissimo. Il primo passo di questa avventura è stato suo e per questo lo ringrazierò per sempre.

Daniele Persico

La Valle d’Aosta e le sue Alte Vie

Il percorso del Tor des Géants segue le orme delle due Alte Vie presenti in Valle d’Aosta.

© Babel Collective

L’Alta Via numero 1 è chiamata anche l’alta via dei giganti e tocca le pendici di montagne importanti come il Monte Bianco, il Cervino e il Monte Rosa. Regala a chi la percorre nelle sue 17 tappe giornaliere da Donnas a Courmayeur una vista privilegiata non solo sui massicci più alti d’Europa ma anche sulla tradizione Walser della Valle di Gressoney e dell’Alta Val d‘Ayas, basata sul rispetto del territorio e dunque un uso equilibrato delle sue risorse. Arrivando fino ad un massimo di 3.000 metri di altitudine, si attraversano prati, boschi, ponti e pietraie, si scoprono i fondovalle con i loro paesi, si visitano luoghi sacri di un passato che non c’è più.

Non si tratta solo di me, ma della bellezza del percorso, dei posti, dello spirito di un viaggio.

Daniele Persico

L’Alta Via numero 2 è invece chiamata alta via naturalistica e si divide, per gran parte, tra il parco Nazionale del Gran Paradiso e il parco naturale del Mont Avic. Se prima c’erano le montagne a togliere il fiato, qui una grande varietà di flora e fauna alpine rapisce chiunque decida di percorrerla: non è raro, camminando da Courmayeur a Donnas, incrociare lo sguardo di stambecchi e camosci, o alzare gli occhi al cielo e fare altri fugaci incontri. I più esperti consigliano di esplorarla nel mese di luglio, quando i prati regalano bellissime fioriture. 

© Babel Collective

La Valle d’Aosta l’ho conosciuta veramente solo grazie alla prima esperienza con la gara. Il Tor des Géants è la Valle d’Aosta, basta guardare il percorso e come l’abbraccia tutta, come ti permette di conoscerla a fondo.

Daniele Persico

Il ruolo del Parco nazionale del Gran Paradiso

Il territorio del Parco nazionale del Gran Paradiso è attraversato dal tracciato della gara da ovest a est: seppur non in modo continuo, va dall’abitato di Rhemes de Notre Dames a 1.700 metri a Cogne, dove si trova una delle base vita, e riprende per un breve tragitto nel vallone dell’Urtier. 

Caprioli, stambecchi, volpi e lupi sono i principali abitanti della natura di queste valli ed è facile che i partecipanti al Tor des Géants possano imbattervisi durante le ore notturne o al sorgere dell’alba. Se nelle ore diurne gli animali sono più abituati alla presenza umana, durante i giorni della gara il via vai di corridori e le loro luci frontali scombussolano i loro ritmi per il procacciamento del cibo.

A questo si aggiunge anche la presenza della segnaletica del percorso, che diventa spesso un ghiotto bottino non proprio salutare per alcuni di loro. Ad aiutare a non creare troppi danni c’è lo spirito di adattamento e il fatto che questa sia solo una situazione temporanea.

© Babel Collective

In ogni caso è fondamentale il supporto che il corpo di sorveglianza del Parco fornisce all’organizzazione del Tor des Géants in attività come la fase di tracciatura all’interno dei confini del Parco stesso o il sostegno logistico lungo le parti di tragitto di loro competenza, nonché l’attenzione alla fauna stessa. Seppure la sensibilità negli anni sia cambiata, responsabilizzano inoltre i partecipanti a fare attenzione a ciò che si lasciano dietro e di portare i propri rifiuti a valle.

Allo stesso modo, dal 2017, il Tor des Géants si sta impegnando per rendere la gara tra le più dure ma anche sostenibili al mondo, grazie al progetto EcoLoTor, le cui quattro aree di intervento sono la prevenzione e gestione dei rifiuti, la lotta al littering, l’utilizzo di materiali sostenibili e il ricorso alle energie rinnovabili. Proprio nell’edizione del 2017 nelle basi vita sono stati raccolti 1.744,41 chili di rifiuti avviati al riciclo grazie alla raccolta differenziata. 

Del mio passaggio nel Parco nazionale del Gran Paradiso sicuramente ricorderò la prima alba in cima alla lunga salita del Col Loson. In quelle zone ho incontrato molti animali e mi sono imbattuto in paesaggi aspri ma bellissimi.

Daniele Persico

I rifugi

Oltre alle valli e ai bellissimi paesaggi che Daniele Persico ha potuto assaporare, hanno avuto ruolo vitale i vari rifugi in cui è stato accolto dopo intense giornate di corsa, per un pasto e una bevanda caldi con cui ricaricarsi, per un letto dove riposare, per un sorriso e parole di supporto per portare con sé dell’affetto incondizionato in più. 

Avere a che fare con chi vive e lavora in montagna è un dono.

Daniele Persico

Non è un’esperienza dedicata solo a lui o a chi decide di correre il Tor des Géants, ma piuttosto una costante per chi nelle terre alte ci vive o passa solo per una visita. La storia vuole che sia proprio in Valle d’Aosta, nel 1785, ad essere spuntato il primo rifugio, la Capanna Vincent, sul versante meridionale del Monte Rosa. Non erano i luoghi che oggi conosciamo, ma spesso punto strategici per motivi economici o spirituali. Solo con il Cai – Club alpino italiano – quelle quattro mura incastonate nelle valli o alle pendici di monti sono diventati la meta di lunghe camminate per i visitatori occasionali, una fonte di rendita nei mesi estivi con i pascoli che li circondano, un punto di scambio tra l’uomo e l’ambiente per la reciproca sopravvivenza attraverso l’agricoltura, l’allevamento ma anche la tutela del territorio.

© Babel Collective

Una delle tappe di Daniele Persico è stato il rifugio delle Marmotte, situato nel vallone di Entrelor all’interno del Parco del Gran Paradiso. A dirigere i lavori al suo interno c’è Luciano Vazzoler, storico volontario dell’Operazione Mato Grosso, che gestisce questo e altri due rifugi – il Rifugio degli Angeli in Valgrisenche e il Rifugio Frassati a Saint-Rhemy-en-Bosses. Se potessero definire il loro stile all’interno dei rifugi, la parola giusta sarebbe “ecologico”: la corrente elettrica è prodotta da una turbina idroelettrica, le lampadine sono a led, l’acqua calda viene prodotta grazie a un pannello solare che integra il boiler elettrico, i detersivi utilizzati sono tutti ecologici e ovviamente ogni rifiuto torna a valle. A rendere tutto ancora più piacevole c’è quel senso di ospitalità che è oramai diventata tradizione in questi luoghi.

Uno degli aspetti più belli di questa esperienza è stata l’accoglienza dei rifugisti. Molti avevano aperto solo per me, erano lì ad aspettarmi con un piatto di pasta e un sorriso. È un gesto commovente che non dimentichi.

Daniele Persico

Le tradizioni

Che le tradizioni valdostane abbiano permeato l’esperienza di Daniele Persico lo racconta bene il suo arrivo a Courmayeur il 18 settembre 2020: ad attenderlo dopo 330 chilometri non ci sono solo parenti e amici in festa ma anche Le Beuffon, le stesse che lo avevano accompagnato nei suoi primi passi alla partenza. 

Il costume del Beuffon, simbolo del carnevale di Courmayeur, appare per la prima volta nel ‘900 a Dolonne, una piccola frazione non troppo distante: c’è una giacca nera con medaglie, alamari dorati e perline colorate, pantaloni rossi con pompon, calzettoni bianchi o a scacchi, ghette rosse e una tuba con penne colorate e rivestita da fiori, nastri e coccarde. Erano loro con i grossi campanacci ad annunciare alla cittadina e alle sue frazioni l’arrivo del Carnevale la mattina del martedì grasso. 

A mantenere viva questa tradizione c’è un’associazione tutta al femminile chiamata “Le Beuffon de Courmayeur”, nata nell’Aprile del 2011 e composta da circa 40 persone. La loro attività è la stessa che veniva svolta circa un secolo fa, quella di portare allegria e festa a diverse manifestazioni che si tengono nella cittadina.

Conoscevo Le Beuffon già dalla mia precedente esperienza con la gara: stavo facendo autostop alla ricerca di un passaggio da Morgex verso la partenza quando mi sono imbattuto in Anna, che fa parte dell’associazione, nei loro abiti tipici. È stata lei a portarmi sia all’andata che al ritorno. Soprattutto nel secondo viaggio, abbiamo legato moltissimo a livello emotivo. Quando poi abbiamo cominciato a organizzare questa nuova avventura, il suo supporto e aiuto è stato fondamentale.

Daniele Persico

La fine di una piccola impresa

Quando anche i campanacci delle Beuffon smettono di suonare, gli abbracci si sono esauriti e gli amici hanno ripreso la via di casa, Daniele Persico può finalmente realizzare di aver appena compiuto una piccola impresa: ha percorso tutto il tragitto della gara in 120 ore, entro il tempo stabilito dalle regole, ha corso assieme a vecchi e nuovi amici, ha attraverso le valli più belle della Valle d’Aosta, vissuto la sua ospitalità tra le quattro mura dei rifugi e le braccia dei rifugisti, ha sfidato i suoi limiti e li ha spostati verso altre imprese che aspettano di essere vissute. 

Quello che è avvenuto in quei giorni lo sa bene solo Daniele Persico, ma lo racconta anche questo documentario, realizzato dai ragazzi di Babel Collective, che rimarrà a lungo la prova di come anche i progetti più assurdi possano diventare realtà.

Quando sono arrivato in cima al Col del Malatrà, mi sono girato verso il sole che sorgeva, mi sono detto: “Cavolo, ce l’ho fatta!” e sono scoppiato a piangere. Onestamente non pensavo di emozionarmi così. È stata una settimana stupenda.

Daniele Persico

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