Covid-19

Il lato oscuro dello shopping online durante il coronavirus

Dall’Italia agli Stati Uniti chi lavora nella logistica e nella distribuzione sta protestando per avere maggiori tutele sanitarie durante la pandemia di coronavirus.

È ormai un mese che l’Italia si trova in isolamento a causa dell’epidemia di coronavirus, responsabile della malattia Covid-19. In questo momento di crisi, dove la possibilità di muoversi è ridotta, rivolgersi alle piattaforme di distribuzione sembra essere la soluzione perfetta per far arrivare direttamente a casa propria qualsiasi prodotto. Tuttavia, la realtà di chi lavora nei settori della logistica e delle consegne è ben diversa.

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Con gli acquisti online, qualcuno è comunque costretto a muoversi

Se è vero che per acquistare prodotti online non c’è bisogno di uscire di casa, è altrettanto vero che per ricevere quegli stessi prodotti qualcuno lo deve fare. Si parla di magazzinieri, fattorini, addetti alle pulizie, impiegati delle mense e vigilanti, solo per nominarne alcuni. Persone che hanno continuato a recarsi sul posto di lavoro ogni giorno e hanno assicurato la continuità dei servizi offerti dalle imprese. Queste ultime devono garantire loro le necessarie tutele sanitarie per poter lavorare in sicurezza anche durante una pandemia

Non sempre, però, è stato così. Nelle ultime settimane il gigante delle consegne, del settore delivery, Amazon è stato criticato da alcuni dei suoi dipendenti per non averli adeguatamente tutelati. La situazione si è ripetuta in diversi paesi del mondo, dall’Italia, fino agli Stati Uniti. 

Librerie amazon
Uno degli sterminati magazzini di Amazon in Gran Bretagna © Getty Images

Gli scioperi per Amazon in Italia

Malgrado le misure di isolamento adottate dall’Italia, le poste e i servizi di consegna rientrano tra i servizi considerati essenziali e quindi autorizzati a proseguire le proprie attività se in grado di rispettare le misure di sicurezza. Ma i dipendenti del polo Amazon a Calenzano, vicino a Firenze, non ritengono che l’azienda li stia adeguatamente proteggendo. Per questo motivo, lunedì 30 marzo hanno deciso di scioperare.

Il sindacato Filt Cgil afferma che vengono fatte “10mila consegne al giorno” e che “nel sito di Calenzano quotidianamente, girano circa 300 lavoratori che sono preoccupati e vorrebbero ridurre il più possibile i rischi da interferenza in questa emergenza da coronavirus”. Un portavoce dei sindacati ha inoltre detto all’agenzia di stampa Reuters che “molti impiegati sono stati costretti ad indossare le stesse mascherine per giorni invece di averne di nuove” e che i rappresentanti di Amazon non hanno partecipato a una riunione voluta dalle autorità locali di Firenze per discutere dell’emergenza sanitaria.

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Pacchi Amazon
Il sindacato Filt Cgil afferma che dalla sede di Amazon di Calenzano vengono fatte 10mila consegne al giorno © Justin Sullivan/Getty Images

Per quanto la concerne, la compagnia ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di aver ridotto le consegne e aver privilegiato i prodotti considerati di prima necessità. Ha inoltre dichiarato di aver fornito ai fattorini delle salviette per le mani e del disinfettante e di aver creato un comitato di lavoratori per discutere delle misure di sicurezza.

Amazon spiega di aver “introdotto una serie di misure preventive in tutti i centri logistici per salvaguardare i dipendenti. Sono state aumentate le operazioni di pulizia dei siti, introdotto la distanza di sicurezza minima e richiesto ai corrieri di restare ad almeno un metro dai clienti quando effettuano le consegne. Stiamo inoltre supportando i fornitori di servizi di consegna nell’igienizzazione dei furgoni”.

Gli scioperi dei dipendenti Amazon negli Stati Uniti

Sempre lunedì 30 marzo, i dipendenti di Amazon hanno scioperato anche davanti al polo newyorkese della compagnia, situata a Staten Island, a sud di Manhattan. Hanno accusato l’azienda di non proteggerli sufficientemente di fronte alla minaccia del coronavirus e sono scesi in piazza, rigorosamente a distanza e con una protezione sulla bocca, per far sentire la loro voce.

“Alcune persone risultate positive al test hanno continuato a lavorare nell’edificio, trasmettendo il virus a centinaia di altri lavoratori”, ha scritto su Twitter Christian Smalls, un dipendente apparentemente licenziato dopo aver organizzato lo sciopero a Staten Island.

Accuse infondate secondo Amazon Usa

L’azienda ha smentito le accuse tramite un comunicato trasmesso dall’agenzia di informazione Agence France-press (Afp), dove si legge che hanno “adottato delle misure straordinarie per garantire la sicurezza delle persone, triplicando la pulizia degli spazi, acquistando le attrezzature di sicurezza necessarie e modificando le procedure interne per garantire la distanza prevista”.

Riguardo al licenziamento di Smalls, Amazon ha comunicato in un secondo momento che l’uomo si sarebbe dovuto trovare in quarantena retribuita al momento dello sciopero e che la ragione del licenziamento sia stata proprio la violazione delle norme di sicurezza. Un’affermazione contestata dallo stesso Smalls che sostiene di aver dovuto lavorare tutta la settimana.

La procuratrice generale di New York Letitia James ha definito “immorale e disumano” il licenziamento di Smalls e ha chiesto al National labor relations board, un’agenzia indipendente del governo federale degli Stati Uniti che vigila sul rispetto dei diritti del lavoro, di far luce sulla faccenda.

Intanto la compagnia ha assunto altri 100mila lavoratori nei suoi centri logistici e sta pianificando di assumerne altri 75mila per far fronte alla crescente domanda dei consumatori.

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Magazzino Amazon
Amazon ha smentito le accuse © Jeff Spicer/Getty Images

Una situazione simile anche in Francia

Martedì 24 marzo, nel polo Amazon di Saran, nel dipartimento di Loiret, nella Loira francese, è stato registrato il primo caso di coronavirus. Una trentina di dipendenti sono stati messi in isolamento, ma “oltre un centinaio di persone hanno avuto contatti con quella persona senza essere isolati – ha affermato Jean-François Bérot, un sindacalista di Solidaires –. Siamo più di 500 qui ed è difficile mantenere le distanze quando si entra o si esce, in mensa o durante i cambi turno”.

In tutta Francia, molti dipendenti hanno deciso di esercitare il loro diritto a rimanere a casa, dimezzando il numero di persone disposte a lavorare.

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Un deposito di Amazon
I dipendenti del colosso della distribuzione Amazon stanno protestando per avere maggiori tutele sanitarie durante la pandemia di coronavirus © Spencer Platt/Getty Images

L’azienda, oltre a ribadire di aver preso tutte le misure di sicurezza necessarie, ha fatto sapere che avrebbe sospeso gli stipendi a chi non si fosse presentato sul posto di lavoro, proponendo un aumento di due euro l’ora per chi invece l’avesse fatto e promettendo di raddoppiare il compenso in caso di straordinari.

I sindacati sono subito insorti spiegando che “si tratta di una bella offerta, ma che non vale il costo di una vita. Sono sempre i più vulnerabili ad essere esposti, coloro che temono di non riuscire a pagare le fatture o che hanno paura di perdere il lavoro”.

Il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire ha denunciato le pressioni fatte da Amazon definendole “inaccettabili” durante un’epidemia.

Martedì 14 aprile, il tribunale giudiziario di Nanterre ha ordinato all’impresa di limitare la sua attività ai prodotti di prima necessità in tutti i suoi centri francesi e alle sole attività di ricezione delle merci, preparazione e spedizione degli ordini per prodotti alimentari, d’igiene e sanitari”. Sugli atti si legge chiaramente come Amazon abbia fallito nella tutela della salute dei suoi dipendenti. Questa restrizione sarà valida per un mese.

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