Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Embargo energetico a Israele: se ne parlerà alla Cop29?
In vista della Cop29 di Baku, le organizzazioni chiedono che si discuta di come stoppare il rifornimento energetico di Israele per porre fine alla guerra.
- Il movimento Bds, insieme ad altre organizzazioni, chiede che alla Cop 29 si parli di come fermare il sostegno energetico a Israele.
- Secondo la Convenzione Onu sul genocidio, gli stati che danno sostegno materiale a chi commette un genocidio sono da considerarsi complici.
In vista della Cop29 di Baku, si leva un appello da diverse organizzazioni della società civile affinché le nazioni partecipanti si mobilitino per fermare il disastro umanitario e ambientale in Palestina e interrompano il sostegno energetico a Israele, ponendo così fine all’apartheid e all’occupazione illegale. La catastrofe che si abbatte su Gaza è di proporzioni inaudite, con almeno 45.000 morti e danni irreparabili al territorio: intere aree agricole sono distrutte, le infrastrutture sono al collasso e la popolazione sopravvive in condizioni estreme.
In particolare, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, la devastazione da parte di Israele ha incluso “urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale e, più recentemente, ecocidio”. Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’eccidio di Hamas, più del 76 per cento della terra agricola di Gaza è stata danneggiata o distrutta, ci sono stati danni estesi al suolo, alle serre, ai pozzi d’acqua, alle fattorie e ai rifugi per gli animali. Inoltre, l’Onu ha detto che l’intera popolazione della Striscia di Gaza settentrionale rischia di morire.
Alla Cop 29, l’embargo energetico verso Israele
L’imminente Cop29 di Baku rappresenta un’opportunità per denunciare la complicità di paesi come l’Azerbaigian, uno dei maggiori importatori di armi israeliane, e sostenere azioni mirate come l’embargo energetico. Attivisti e organizzazioni – tra cui il comitato nazionale del movimento Bds (Boycott, Disinvestment e Sanctions), il Global Energy Embargo for Palestine (Geep) e il Palestinian Grassroots Anti-Apartheid Wall Campaign – chiedono a tutti i paesi coinvolti durante la Cop di sospendere le forniture di energia a Israele, mentre pressioni crescenti sono rivolte alle multinazionali energetiche: tra queste spiccano la Bp e la Socar (la società energetica pubblica azera), coinvolte nel trasporto di combustibili fossili, in particolare di gas che scorre verso Israele attraverso il gasdotto Baku-Tiblisi-Ceyhan (Btc).
Intanto, altre mobilitazioni per chiedere un embargo energetico proseguono in Gran Bretagna, Sudafrica, Turchia, Stati Uniti, Brasile e altrove. Numerosi esperti legali hanno avvertito che il trasferimento di prodotti come il petrolio, che può essere utilizzato in veicoli militari (carri armati, jeep militari e aerei), rende gli stati complici di genocidio, in quanto forniscono sostegno materiale allo stato che lo commette. Una recente analisi – condotta da Irene Pietropaoli, senior fellow al British institute of international and comparative law (Biicl) – afferma l’obbligo di porre fine alle forniture di energia a Israele in conformità con la Convenzione Onu sul genocidio.
In particolare, le organizzazioni chiedono di mobilitarsi in due date precise durante la Cop 29: l’11 di novembre, il primo giorno dell’apertura dei lavori, attraverso un’azione di sensibilizzazione verso il ruolo dell’Azerbaigian, e il 16 novembre. Le azioni, fanno sapere gli organizzatori, possono essere rivolte, oltre che verso la Bp, anche alle aziende fossili complici, tra cui Chevron, ExxonMobil, Shell e Total Energies, che insieme forniscono il 66 per cento del petrolio a Israele, così come Eni per i suoi contratti per l’esplorazione di gas nella zona economica esclusiva palestinese al largo di Gaza.
La guerra su Gaza come 15 centrali a carbone l’anno
Le emissioni di CO2 causate dai bombardamenti e dalla distruzione delle strutture sono un altro aspetto della crisi: le emissioni generate finora sono equivalenti a più di 15 centrali a carbone operative in un anno. Solo nei primi 120 giorni di guerra, la produzione di CO2 è stata superiore alle emissioni annuali di 26 paesi messi insieme. La successiva ricostruzione, quando sarà possibile, produrrà ulteriori impatti climatici devastanti. In tutto questo, armi come il fosforo bianco (usato intenzionalmente nel sud del Libano, come dimostra l’attacco diretto al sistema di trasporto dell’acqua del Litani) contaminano il suolo e la continua espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania continua ad aggravare la situazione, nonostante l’occupazione sia stata dichiarata illegale dalla Corte internazionale di giustizia.
Il contesto internazionale rimane, però, inerte, permettendo di fatto a Israele di agire con totale impunità. L’apporto di risorse energetiche, come gas e carbone, sostiene l’economia e le operazioni militari israeliane. Secondo le organizzazioni, la dipendenza di Israele dal carbone colombiano e dal petrolio azero evidenzia l’urgenza di un blocco energetico. Proprio la Colombia, in risposta a una richiesta delle organizzazioni palestinesi, ha già sospeso il trasferimento di carbone verso Israele, mentre attivisti in tutto il Mediterraneo hanno avviato campagne come #BlockTheBoat e No harbour for genocide per impedire che rifornimenti energetici e militari raggiungano Israele. Queste manifestazioni hanno già impedito a una nave cisterna che trasportava carburante per jet militari e a una nave che trasportava esplosivi per Israele di attraccare in molti porti sia in Africa che in Europa.
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