Epitteto, il grande filosofo-schiavo dell’antichità, sosteneva che l’uomo cela nel proprio animo un frammento divino che ci rende fratelli nella identica tangenza con gli Dei.
Socrate ci lascia l’invito a prenderci cura delle qualità intellettive e morali. In carcere, non fuggì per non rispondere all’ingiustizia con l’ingiustizia
Kierkegaard coglie perfettamente nel segno, là ove dice: “I filosofi hanno molti pensieri i quali tutti valgono fino a un certo punto. Socrate ne ha uno solo, ma assoluto”. In effetti, il lascito socratico è davvero straordinario e può essere sintetizzato nell’invito a “prendersi cura dell’anima”, intesa come sede delle qualità intellettive e morali dell’uomo.
Socrate fu, in questo senso, assolutamente coerente, quando, invitato dai suoi discepoli a fuggire dal carcere, dove era stato ingiustamente rinchiuso per essere messo a morte, si rifiutò di farlo per coerenza con la sua dottrina, incentrata, appunto, sulla “cura dell’anima” e sulla non violenza. Fuggire dal carcere, secondo Socrate, avrebbe significato rispondere all’ingiustizia con l’ingiustizia e contraddire, di conseguenza, nel momento della prova il suo messaggio di fondo: coerenza tra interiorità ed esteriorità, rispetto delle Leggi, di per sé giuste, poiché l’ingiustizia nasce dal cuore degli uomini, vivere secondo virtù e giustizia.
Ma leggiamo lo splendido passo che conferma a tutto tondo come Socrate giudichi il fuggire una forma di violenza verso le Leggi: “Non si deve disertare né ritirarsi né abbandonare il proprio posto, ma, e in guerra e in tribunale e in ogni altro luogo, bisogna fare quello che la Patria e la Città comandano, oppure persuaderle in che consiste la giustizia: mentre far uso di violenza non è cosa santa […] “ (“Critone”, 51 B ).
E, nell'”Apologia di Socrate” (30 D; 41 D), contro i suoi accusatori, il Nostro rileva in modo splendido come il virtuoso custodisca nella sua stessa virtù la difesa più alta, la rocca inespugnabile anche per coloro che, senza alcuno scrupolo, mandano a morte un uomo ingiusto: “Io non credo che sia possibile che un uomo migliore riceva danno da uno peggiore. Anito potrebbe condannarmi a morte, cacciarmi in esilio e spogliarmi dei diritti civili. Ma, queste cose, costui e forse altri con lui crederanno che siano grandi mali, mentre io non penso che lo siano. Io credo, invece, che sia un male molto più grande fare quelle cose che ora fa Anito, ossia cercare di mandare a morte un uomo contro giustizia […].
Ad un uomo buono non può capitare nessun male, né in vita né in morte […]”.
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