Guerre, disuguaglianze e crisi climatica rallentano la corsa agli obiettivi di sviluppo sostenibile: solo il 19 per cento raggiungibili entro 5 anni.
Nel mondo solo un obiettivo su cinque dell’Agenda 2030, redatta dalle Nazioni Unite ormai dieci anni fa, è sulla buona strada, mentre l’Italia peggiora su sei dei diciassette goal e l’Europa perde terreno sul piano sociale e ambientale. Il decimo rapporto ASviS, dal titolo Pace, giustizia e diritti: pilastri della sostenibilità, fotografa un pianeta in crisi di governance, disuguaglianze e fiducia. Secondo il documento, solo il 18 per cento dei target dell’Agenda 2030 sarà raggiunto entro la scadenza, mentre per oltre il 30 per cento non si registrano progressi o si è addirittura in regresso.
Il quadro internazionale è segnato da 59 conflitti attivi, quasi 50 mila vittime civili nel 2024, 123 milioni di persone sfollate (“il doppio in dieci anni, risultati dei tanti conflitti in corso, alcuni appesi a una pace molto fragile e altri in cui la pace non si vede”, sottolinea Chiara Cardoletti, rappresentante per l’Italia di Unhcr), una spesa militare che ha toccato il record di 2.700 miliardi di dollari. Parallelamente, i fondi per il sistema delle Nazioni Unite sono crollati del 30 per cento in due anni, compromettendo la capacità di risposta umanitaria. Eppure, scrive l’Alleanza e lo ribadisce il direttore scientifico Enrico Giovannini, “non siamo ciechi. E neanche stupidi: comprendiamo le difficoltà globali, ma non giustifichiamo le motivazioni indegne che concentrano potere e ricchezza nelle mani di pochi, alimentando guerre e disinformazione”.
Una riflessione che riporta l’attenzione sulla necessità di “accelerare” le azioni per riconciliare pace, ambiente e diritti. Quanto ai segnali positivi, a livello globale permangono alcuni progressi su energie rinnovabili e politiche climatiche in certi Paesi, e la diplomazia multilaterale che ha prodotto nel 2024–25 iniziative (Patto sul futuro, Impegno di Siviglia) che mantengono aperti spazi di azione collettiva.
Agenda 2030, l’Ue perde la leadership della sostenibilità
In questo quadro globale anche l’Unione europea, un tempo esempio mondiale, mostra oggi forti disomogeneità. Guardando ai 19 target quantitativi esaminati, 10 (il 53 per cento) risultano raggiungibili entro il 2030, mentre 7 (37 per cento) non appaiono raggiungibili e due presentano andamenti discordanti tra breve e lungo periodo. Certo, migliorano i risultati su energie rinnovabili, imprese e innovazione, città sostenibili e lotta al cambiamento climatico, ma arretrano le politiche su disuguaglianze, ecosistemi terrestri e cooperazione internazionale. L’ASviS denuncia le contraddizioni tra gli impegni dichiarati e le scelte concrete della nuova Commissione europea, dalla crescita della spesa militare alle revisioni al ribasso di alcune norme ambientali e sociali, fino alle semplificazioni nella rendicontazione di sostenibilità che rischiano di indebolire il Green deal. La colpa, per il commissario europeo Raffaele Fitto, intervenuto in videocollegamento, è da ricondurre “a difficoltà oggettive, siamo condizionati da ciò che è successo negli ultimi 6-7 anni, a partire dalla pandemia fino alle guerre in corso”: vero, ma il tema riguarda anche le scelte.
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Su cosa migliora l’Europa: risultati più significativi si registrano per energie rinnovabili, lavoro, imprese e innovazione, città sostenibili e lotta al cambiamento climatico.
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Su cosa peggiora: arretrano indicatori chiave legati a disuguaglianze, qualità degli ecosistemi terrestri e partnership internazionali.
L’Italia rallenta, tra disuguaglianze e ritardi strutturali
Per l’Italia, il rapporto traccia un quadro ancora più critico. Dal 2010 a oggi si registra un peggioramento in sei obiettivi su 17 – povertà, acqua e servizi igienici, disuguaglianze, vita sulla Terra, pace e istituzioni solide, partnership – e una sostanziale stabilità in altri quattro, mentre i miglioramenti riguardano solo sei goal (tra cui istruzione, parità di genere, energia pulita, lavoro dignitoso e clima).
Il dato complessivo è chiaro: solo il 29 per cento dei target italiani sarà raggiunto entro il 2030, contro una media europea del 53 per cento e un valore globale del 18 per cento, segno di un rallentamento strutturale che riflette disuguaglianze, fragilità istituzionali e scarsa coerenza delle politiche pubbliche. L’ASviS parla di “assenza di coerenza” tra gli impegni internazionali e le politiche economiche nazionali, ricordando che la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile del 2022 è rimasta in gran parte inattuata.
Tra i segnali positivi figurano i progressi in economia circolare, dove l’Italia resta leader con un tasso di riciclo del 72 per cento, quasi il doppio della media Ue, e nella transizione energetica, con il 36 per cento dei consumi coperti da rinnovabili. Un dato non sufficiente però, secondo il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che non intende ancora dare il via allo smantellamento delle centrali a carbone, “perché nessuno è in grado di garantire che dal Tap arriveranno sempre 10 miliardi di metri cubi di gas, o 25 dall’Algeria”. Ma persistono gravi criticità: 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, un terzo delle specie terrestri minacciate, tempi lunghi della giustizia e fragilità nella governance pubblica, ma anche una cattiva gestione delle risorse idriche e degli ecosistemi.
La sostenibilità non è un fastidio
Il rapporto non si limita all’analisi, ma indica una direzione. L’Alleanza propone di varare entro il 2026 un Piano per l’accelerazione trasformativa (Pat) che unisca le politiche economiche, sociali e ambientali in un’unica visione, integrando la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile con il Piano strutturale di bilancio, il documento quinquennale che espone la programmazione della finanza pubblica integrata con il piano di riforme e di investimenti, Le priorità si articolano su cinque leve trasformative – governance, capitale umano, finanza, cultura e partnership – e sei aree strategiche: salute, istruzione e competenze, economia sostenibile e inclusiva, decarbonizzazione, città rigenerative e tutela dei beni comuni ambientali.
Come ha ricordato la presidente Marcella Mallen, “l’Italia ha ancora l’opportunità di trasformare gli impegni che ha assunto a livello internazionale in politiche capaci di incidere sulla vita delle persone. Penso, ad esempio, alla Valutazione d’impatto generazionale (Vig) ora in discussione parlamentare, che analizzi gli effetti a lungo termine delle politiche pubbliche sulle giovani generazioni”. L’ASviS chiede infine una riforma della governance dello sviluppo sostenibile e un maggiore coinvolgimento della società civile, per rendere le politiche coerenti e partecipate. “La sostenibilità non è un fastidio, ma un investimento sul presente e sul futuro”, ha ammonito il direttore scientifico Enrico Giovannini: secondo l’ex ministro, “l’Italia continua a non dotarsi di politiche adeguate, mentre l’Europa sta facendo scelte errate e perde quel ruolo di guida che aveva assunto negli ultimi anni”. E il presidente Pierluigi Stefanini ha ribadito che “rafforzare la democrazia è oggi una priorità: servono processi partecipativi realmente inclusivi, che consentano a cittadini e comunità locali di incidere sulle decisioni pubbliche”. Le priorità restano la decarbonizzazione, la giustizia sociale, la partecipazione democratica e la tutela dei beni comuni ambientali, per garantire, come scrive l’Alleanza, “un futuro di pace e sostenibilità alle generazioni presenti e future”.
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