
Epitteto, il grande filosofo-schiavo dell’antichità, sosteneva che l’uomo cela nel proprio animo un frammento divino che ci rende fratelli nella identica tangenza con gli Dei.
Aristotele parla di giustizia fondata sulla proporzione e sull’uguaglianza e distingue tra due concetti importanti quando si affronta questo tema: giustizia distributiva e giustizia commutativa.
Aristotele sostiene che la “giustizia distributiva” consiste nel
“dare a ciascuno il suo”, in base alla proporzione, ovvero “secondo
lo stesso rapporto che vi è reciprocamente tra i singoli
contributi”, mentre la “giustizia commutativa o regolatrice” fa
perno sul concetto di uguaglianza tra individui, nella misura in
cui tende a riparare i danni subiti, indipendentemente dalle
differenze tra gli stessi individui.
Nella “giustizia commutativa o regolatrice”, che fa riferimento
alle relazioni sociali, l’equità trova la sua garanzia
più piena ed autentica in un giudice capace, in nome del
“giusto mezzo”, di togliere a colui che si è avvantaggiato
con iniquità per dare a chi ha perso, ristabilendo, in
questo modo, la giustizia.
Ma ecco, senza bisogno di ulteriori commenti, le precise parole
di Aristotele: “Ciò che invece è giusto nelle
relazioni sociali è una certa equità e l’ingiusto una
iniquità, non però secondo quella proporzione
geometrica bensì secondo quella aritmetica. Infatti non
v’è alcuna differenza se un uomo per bene ha rubato a un
uomo dappoco o un uomo dappoco a uno per bene: né se chi ha
commesso adulterio fosse un uomo per bene o un uomo dappoco;
bensì la legge bada soltanto alla differenza del danno (e
tratta le persone come eguali), cioè se uno ha commesso
ingiustizia e un altro l’ha subita, se uno ha recato danno e un
altro l’ha ricevuto. Cosicché il giudice si sforza di
correggere questa ingiustizia, in quanto iniqua; e quando l’uno
abbia ricevuto percosse e l’altro le abbia inferte, oppure anche
uno abbia ucciso e l’altro sia morto, il subire e l’agire sono
stati in rapporti d’iniquità: allora si cerca di correggerli
con una perdita sottraendo così da ciò che era in
vantaggio.
Si parla di vantaggio in tali cose solo in senso generale, anche
se per taluni, come per chi ha percosso, la parola “vantaggio” non
sia propria e così la parola “perdita” per chi ha
subìto. Ma quando si voglia misurare ciò che si
subisce, allora si può parlare di perdita e di vantaggio.
Cosicché l’equo è il medio tra il più e il
meno; il vantaggio e la perdita sono poi in senso opposto il
più e il meno, il vantaggio è un più rispetto
al bene e un meno rispetto al male, la perdita è il
contrario: tra di essi l’equo è, come s’è detto, la
via di mezzo ed è ciò che diciamo giusto:
cosicché la giustizia correttiva sarebbe il medio tra il
danno e il vantaggio”.
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