Pierfrancesco Favino si racconta a L’Automobile e parla del suo rapporto con l’auto, del senso profondo del viaggio, della sua Roma e di quel sogno ricorrente…
Giovanni Allevi, suoni e parole
Parlaci di Alien, la tua nuova opera. Raccontaci del tuo entusiasmo e della tua fatica. Entusiasmo, fatica, concentrazione e… una specie di esaurimento (ride), però sono contento. Perché l’alieno che è dentro di me, e dentro ognuno di noi, trova voce nella dolcezza delle note. In che senso ti senti “alieno”? Viviamo in una
Parlaci di Alien, la tua nuova opera. Raccontaci del
tuo entusiasmo e della tua fatica.
Entusiasmo, fatica, concentrazione e… una specie di
esaurimento (ride), però sono contento. Perché
l’alieno che è dentro di me, e dentro ognuno di noi, trova
voce nella dolcezza delle note.
In che senso ti senti “alieno”?
Viviamo in una società che ci pressa con degli
stereotipi, chiedendoci di essere perfetti, impeccabili, vincenti,
di successo, bellissimi. Io non sono così, e allora ho voluto
dar voce a quella che è la mia indole, la mia natura. Ho
scelto di essere me stesso nonostante queste continue pressioni
all’omologazione. Ciò fa di me una alieno. Penso che il nostro
sentirci inadeguati, fuori posto, sia la nostra forza.
La tua “voce” però è il pianoforte, senza
parole. Come fai a trasmettere questo messaggio?
Bellissima domanda! Lo faccio attraverso una musica che
ambisce a superare gli standard di tipo radiofonico e di tipo
discografico. In Alien ci sono brani molto estesi che utilizzano la
forma sonata, una forma classica per eccellenza che ha la
caratteristica di essere molto dilatata. Un modo di affidare alle
note un messaggio, quello che la musica stessa cerca la propria
libertà, il proprio essere diversa dall’omologazione.
Tra te e LifeGate c’è un rapporto di lunga data:
la prima volta che sei venuto a trovarci lavoravi come supplente
alle scuole medie…
Vero! (sorride) Ricordo quel periodo! E’ stato
necessario, è stato bello.
Come a facevi a mantenere l’autorità del
professore?
E infatti non ci riuscivo! Dopo cinque minuti era un disastro
in classe. Però poi quei ragazzi sono stati i miei primi fan,
hanno addirittura creato su Facebook un gruppo, “Quelli che hanno
avuto Giovanni Allevi come prof”.
In passato hai raccontato come la musica ti abbia
aiutato a superare le crisi di panico. Ora dici “sono ansioso e me
ne vanto”. Spiegaci…
Alla fine, l’ansia, il panico, ma anche l’eros sono forze
ataviche che da sempre percorrono l’umanità come fossero dei
fiumi sotterranei. Sono forze potentissime, non sono il risultato
di spicciole questioni di tipo quotidiano. Quindi l’unica cosa da
fare è farsi travolgere quando arrivano e soprattutto non
avere la superbia di pensare che siano soggette al nostro controllo
e che ne siamo responsabili. Farsi attraversare dall’ansia o dal
panico in un certo senso significa riscoprire il contatto con la
natura umana più profonda perché siamo così, siamo
esseri indifesi, siamo delle fiammelle. Allora perché non
riconoscere questa natura profonda come un segnale, come un dono e
non come un disturbo o qualcosa da allontanare?
Hai due diplomi al Conservatorio, quindi hai fatto
esami, hai dovuto suonare davanti a gente che ti giudicava. Senti
ancora il peso del giudizio?
Tutti lo sentono. Io continuo a sentirlo. Mamma mia… Questo
è uno dei problemi principali che l’artista in particolare
deve superare, con cui deve fare i conti. Però la libertà
d’espressione è più importante, è più
importante del giudizio e dello stesso consenso collettivo.
L’artista deve essere il primo a proporre la propria opera con il
massimo della convinzione, indipendentemente da quello che pensano
gli altri. E’ quello il suo ruolo.
Per vent’anni di fila della tua vita, dai dieci ai
trenta, hai solamente studiato pianoforte. Lo
rifaresti?
Sì. Ho studiato dieci anni di pianoforte e dieci di
composizione. Lo rifarei perché lo studio è necessario
per acquisire la tecnica, gli strumenti, affinchè però la
fantasia se ne possa servire. Ho la sensazione anche in questo caso
che siamo rimasti all’interno di un concetto scolastico della
società, una società che ti dà un voto, dove tutti
cercano l’approvazione. No. Per un attimo dopo aver acquisito delle
regole buttiamocele dietro le spalle e diamo libero sfogo alla
nostra creatività.
Quando cerchi di svagarti che musica
ascolti?
Io non cerco dello “svago” (ride)! Magari riuscissi a
trovarlo: sono stressato sono soggetto a mille pressioni. Però
non riesco a trovare un’attività che possa darmi un sollievo.
Comunque è anche vero che preferisco il silenzio, piuttosto
che ascoltare altra musica, altrimenti l’analista e l’analizzatore
che è dentro al mio cervello si mette in moto.
Tra le tue composizioni preferite c’è il Concerto
n. 3 di Rachmaninov. E’ lo stesso che ha condotto alla pazzia il
pianista protagonista del film Shine; non ti fa
paura?
E’ lui! L’atteggiamento con cui mi rivolgo a questa
meravigliosa opera d’arte non è tanto quella dell’esecutore,
quanto piuttosto quella del compositore che indaga che entra nel
linguaggio di Rachmaninov e cerca di rubarne dei segreti. Non mi
interessa di suonarlo mi interessa di farlo suonare nella mia testa
e di entrare nel linguaggio al fine di farne qualcosa di
proprio.
Di quale musicista ti è piaciuto di più
essere spettatore?
Ho appena visto su Youtube un video di Arthur Rubinstein che
probabilmente è stato il più grande pianista classico di
tutti i tempi . Non solo mi colpisce il tocco, la straordinaria
pulsazione, la limpidezza del suono, ma mi colpisce anche una frase
che ha detto: “con tutte le note che ho sbagliato nella mia
carriera potrei scrivere una sinfonia”. Mi è sembrata
bellissima, anzi quasi liberatoria questa frase per chi l’ascolta.
Siamo abituati a vederti da solo con il tuo
pianoforte. C’è qualcuno con cui ti piacerebbe
suonare?
Vado un po’ scappando dalle collaborazioni artistiche
perché ho sempre paura che il mio linguaggio musicale possa
contaminarsi con il pensiero altrui e quindi risultare poco chiaro
all’ascoltatore. Invece mi piace collaborare con le grandi
orchestre, ascoltare dirigere la propria musica con una grande
orchestra è uno dei piaceri più alti che ho avuto il dono
di ricevere e pertanto spero di continuare a farlo.
In che ordine metteresti queste cose: ridere,
mangiare, nuotare, parlare, ascoltare, suonare.
Ridere al primo posto, sonare al secondo, poi mangiare,
nuotare e ascoltare. Parlare alla fine, all’ultimo posto.
Ci sono elementi che riescono a influenzarti quando
componi, come la natura, l’ambiente che stai osservando? Come ti
“arriva in testa e nelle mani” la musica, c’è qualcosa che
può influenzarti dall’esterno?
No. Accade che la musica arriva nella mia testa
indipendentemente da quello che sto facendo, da come mi sento
anche, dal mio stato d’animo, da quello che sto vedendo, che
osservo attorno a me. Magari è possibile che questa musica sia
in netta antitesi con l’immagine che si apre davanti ai miei occhi.
Ed è buffo, strano però è anche giusto che sia
così. Considero la musica come altro da me, qualcosa da andare
ad afferrare, qualcosa che c’è già e che io devo
semplicemente scoprire.
Tu hai detto: “l’artista deve essere un po’ filosofo,
un po’ inventore, un po’ folle, deve uscire dalla torre d’avorio e
avvicinarsi al sentire comune”. C’è anche impegno per
l’ambiente e per l’ecologia nel tuo essere artista?
Sì certamente. C’è in maniera indiretta, non
attraverso un’affermazione manifesta e perentoria. Il mio tentativo
di affondare le mani in una tradizione classica e quindi di
riproporre le forme e gli organici classici in veste moderna
c’è anche quella di fare uso degli strumenti della
classicità che sono gli archi, strumenti fatti di legno, di
metallo, lo stesso pianoforte che rappresentano un che di
ecologico. Da strumenti di tale fattura, scaturisce un suono che
essendo naturale credo faccia bene all’ascolto. E mette risonanza a
delle parti pure, incontaminate della nostra anima. Sono convinto
di questo. Ho sempre ritenuto un’orchestra sinfonica oppure un
pianoforte degli strumenti ecologici.
Spesso in tv capita di vedere qualcuno che ti imita,
prendendoti anche un po’ in giro. Che effetto ti fa?
Be’, è divertente. Mi fa piacere, l’ho presa bene! Tra
l’altro sono persone di grande talento per cui… evviva!
C’è un rapporto tra la tua arte e l’ecologia?
Certamente. Nel mio tentativo di affondare le mani in una
tradizione classica e quindi di riproporre le forme e gli organici
classici in veste moderna, faccio uso di strumenti come gli archi,
strumenti fatti di legno, di metallo, o lo stesso pianoforte, che
rappresentano un che di ecologico. Da strumenti di tale fattura
scaturisce un suono naturale che fa bene all’ascolto. E che, sono
convinto, fa risuonare parti pure, incontaminate, della nostra
anima.
Ti si è visto molto nello spot televisivo di
un’automobile. Ma l’hai guidata?
No, continuo a non
avere la macchina! E’ questo il bello, ma che pazza questa
vita!
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