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Pierfrancesco Favino si racconta a L’Automobile e parla del suo rapporto con l’auto, del senso profondo del viaggio, della sua Roma e di quel sogno ricorrente…
Lo abbiamo incontrato a Cannes in occasione della 77esima edizione del Festival del cinema. Pierfrancesco Favino è impegnato al suo debutto come membro della giuria capitanata da Greta Gerwig. Riusciamo a strapparlo ai pressanti impegni da giurato per 30 minuti. Obiettivo? Parlare del suo rapporto con l’auto e del ruolo dell’auto nel cinema. Ma anche di viaggi privati, in solitaria e condivisi, fino alle sfide della transizione ecologica… Fino a quella volta che, sul set di Rush, vicino alla Ferrari 312 T avrebbe voluto dire al regista Ron Howard: “Guido io!”. L’intervista integrale è disponibile sul numero di luglio de L’Automobile il magazine ACI.
C’è un viaggio nella sua vita che ha lasciato un segno più profondo?
Era il 2002, un viaggio in solitaria, partito dal Messico è finito in Belize. Un mese e mezzo da solo, attraversando buona parte del Messico, Guatemala fino al Belize. Avevo bisogno di elaborare una cosa che mi era successa nella vita, che mi aveva lasciato dentro un segno profondo. Il viaggio in quel caso è stato il mio modo di ritualizzare quella cosa.
Dev’essere stato un viaggio avventuroso…
… Un’auto affittata a Cancún, un viaggio improvvisato, non sapevo nemmeno che con quell’auto non sarei potuto entrare negli altri Paesi; la lasciavo, poi la riprendevo… Ma un viaggio in solitaria non è mai in solitaria, alla fine finisci per incontrare centinaia di persone, una galleria di ricordi e sensazioni che ti porti dentro per sempre.
Un viaggio tra amici?
Di quelli ne ho fatti tanti. E spesso hanno a che fare con il periodo della giovinezza. Sono stati i viaggi che hanno segnato la prima indipendenza. Appena presa la patente è stata la prima cosa che ho fatto, viaggiare, ci siamo messi dentro una macchina e via! L’auto era quella della mia fidanzata dell’epoca, devo dire una bella macchina; ammetto, eravamo un po’ viziati (Pierfrancesco ride di gusto, ndr). Poi ci sono stati altri viaggi, numerosi, in auto, in barca, tutti accomunati da una ricerca di movimento, dalla scoperta; la curiosità è una caratteristica che mi appartiene da sempre.
Insomma, l’auto è una sua passione. Cosa può dirci del ruolo che ha nel cinema? Due mondi che sembrano lontani, due grandi invenzioni che hanno conquistato il XX secolo…
Ci sono scene nel cinema che hanno fatto diventare iconica l’auto, diventate iconiche a loro volta grazie all’auto. Pensa a Il laureato, a Otto e mezzo, alla Dolce vita di Fellini. A Thelma e Louise, a Natural Born Killers… Pensa a quanto il gusto di certe Dodge anni ‘50 ha fatto epoca nel costume, quanto noi siamo legati al cinema grazie anche alla forma dell’automobile. Spesso collochiamo l’epoca in cui si svolge il film grazie a quel particolare modello o marchio. Pensa a Il padrino di Francis Ford Coppola, a quante auto sono protagoniste nelle scene del film, dalla morte di Sonny a quella di Marlon Brando nei panni di Vito Corleone.
In una recente intervista ha detto: “Penso che qualsiasi rivoluzione tecnologica debba essere accompagnata da tutele lavorative”. Cosa pensa della transizione elettrica dell’auto?
Sono tecnologie in evoluzione. L’auto elettrica è un’esperienza, divertente dal punto di vista del piacere della guida. Quando sono su un’elettrica mi sento di partecipare di qualcosa di più globale. Certo, le infrastrutture sono necessarie perché il cambiamento avvenga. Ma non mi stupirebbe che fosse una fase di transizione verso tecnologie che possano consentire un ulteriore passaggio in avanti.
2035, cosa le viene in mente?
Mi auguro che ci si arrivi preparati. Dobbiamo essere tutti più consapevoli, non tanto della Terra, ma di noi. Festeggiare la Giornata della terra va bene, ma la Terra resiste da millenni, continuerà ad esistere perché ha una capacità di reazione decisamente superiore alla nostra. Dovremmo cominciare a pensare che l’ambiente siamo noi, quindi imparare a rispettare prima di tutto noi stessi, le nostre possibilità di vita, di sopravvivenza. È da lì che si sviluppa il rispetto delle risorse che abbiamo ancora a disposizione.
A proposito di rispetto per l’ambiente, lei ha detto: “Sogno una Roma elettrica, silenziosa, per riappropriarci dei monumenti” …
Se c’è una città che potrebbe permettersi di essere una città ad “impatto zero” è Roma. E invece è una città in grande difficoltà, la sua struttura urbanistica richiederebbe un ripensamento della pianificazione e gestione del traffico privato e della viabilità in genere. Sarebbe bellissimo immaginare una Roma come Venezia, silenziosa e con una mobilità più vivibile.
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