Tame Impala – Innerspeaker

Come segnali morse provenienti da chissà dove, atterrano Tame Impala da Perth, ventenni in odore di psichedelica pop dorata, palpabile, che pare arrivare come una brezza da lontano con i suoi odori e sapori esotici. Fanno tutto in tre basandosi sull’interplay chitarre-basso-batteria a pochi anni dalla formazione (2007 sulle ceneri di una band vincitrice di

Come segnali morse provenienti da chissà dove, atterrano
Tame Impala da Perth, ventenni in odore di psichedelica pop dorata,
palpabile, che pare arrivare come una brezza da lontano con i suoi
odori e sapori esotici. Fanno tutto in tre basandosi sull’interplay
chitarre-basso-batteria a pochi anni dalla formazione (2007 sulle
ceneri di una band vincitrice di un concorso rock nazionale).

Per farsi notare Kevin Parker (chitarra solista e voce), Dominic
Simper (basso) e Jay Watson (batteria e cori), dopo un bell’ep
d’esordio, ebbero nel 2009 un’idea brillante: «Perché
non incidere a Londra negli studi analogici dove hanno registrato i
White Stripes? Da lì non c’è band emergente che non
sia uscita con un contratto migliore».

L’idea si rivelò strategicamente ineccepibile e Innerspeaker
– realizzato ai Toe Rag- gira oggi nei lettori di molti artisti che
citano la band come influente. Proviamo a leggere la lista delle
loro che diligentemente citano nel proprio MySpace: Todd Rundgren,
Dungen, Can, King Crimson, Love, Neu!, Crosby Stills Nash &
Young, Flaming Lips, Jefferson Airplane, Massive Attack,
Portishead.

Aggiungerei i californiani Alps, contemporanei, e i fiorentini
Sensation’s Fix, mitici “cosmici” dei 70. Quale è allora il
valore aggiunto di questi giovani? Una forte disposizione alla
melodia secondo lo stilema già dettato dai Dungen ai quali i
nostri assomigliano in modo quasi allarmante, ma dei quali mancano
la morbidezza che rende gli svedesi una spanna più
autorevoli.

Ernesto de Pascale

Unknown

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