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La cultura è una forza vitale dell’economia italiana, è trainante e ha addirittura un effetto moltiplicatore. Parola di Io sono cultura, il nuovo rapporto di Fondazione Symbola redatto con Unioncamere. Ecco i numeri.
I pregiudizi sono duri, durissimi a morire. Uno, per esempio, è quello che sostiene che la cultura non paghi. “Con la cultura non si mangia”, si dice. Be’, non è vero. Per niente.
A dimostrarlo è l’ultimo rapporto Symbola, Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Marche e Sida Group.
‘Io sono cultura’ è un rapporto che viene redatto dal 2011 per monitorare il sistema produttivo culturale italiano, ovvero l’insieme di tutte le attività (imprese, PA e non profit) che siano “cultura core”, cioè direttamente impegnate nel mondo della cultura (musei, beni culturali, gallerie, festival, letteratura, cinema, musica, teatro e performing arts) o “creative driven”, cioè che dalla cultura traggono linfa vitale, come il made in Italy o la ristorazione. Si tratta dell’unico studio che annualmente quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale.
Secondo il rapporto, cultura e creatività sarebbero motori trainanti delle economie avanzate. Per questo, proprio cultura e istruzione risultano all’11° posto del programma Junker per rilanciare l’economia del nostro continente.
I dati parlano molto chiaramente: il sistema produttivo culturale è responsabile del 6,1 per cento della ricchezza nostrana, pari a 89,7 miliardi di euro. Non solo. La cultura ha anche un effetto moltiplicatore di 1,8. Cioè: per ogni euro prodotto dalle industrie culturali, se ne “attivano” 1,8 in altri settori, pari a 160,1 miliardi. Si arriva così a un totale di 249,8 miliardi di euro generati dall’intera filiera culturale, che rappresentano il 17 per cento del valore aggiunto nazionale. Gli occupati nella cultura sono 1,5 milioni, ossia il 6,1 per cento dei lavoratori italiani.
Se confrontiamo l’ultimo rapporto (con dati 2015) con quello di 5 anni fa, scopriamo una crescita della filiera dello 0,6 per cento per quanto concerne il valore aggiunto e dello 0,2 per cento degli occupati. Sembra poco? Se confrontato col resto dell’economia è moltissimo, dato che nel complesso si registra un -0,1 per cento di valore aggiunto e un -1,5 per cento dell’occupazione.
Le industrie culturali (come media, film, videogiochi, musica, libri ed editoria) generano 33 miliardi di valore aggiunto, le industrie creative (come architettura, comunicazione e design) 12,7, performing arts e arti visive (rappresentazioni, convegni e fiere) 7 miliardi, la conservazione e la tutela del patrimonio storico artistico ne produce 3. Le attività creative driven generano 34 miliardi di euro in valore aggiunto.
Il settore che ha registrato le prestazioni migliori è quello del design (con un +10,8 per cento in valore aggiunto e un +13,8 in occupazione), ma sono in crescita anche le produzioni creative driven, i videogame e la musica. Va benissimo il turismo: il 37,5 per cento della spesa turistica nazionale è infatti “attivato” dalla cultura. L’alleanza più promettente è quella che vede la cultura unirsi col mondo dell’enogastronomia, per una cucina sempre più legata alle tradizioni locali.
Tra le città, Milano è al primo posto in Italia per incidenza di valore aggiunto e occupazione Spcc (Sistema produttivo culturale e creativo); seguono Roma, Torino, Siena, Arezzo, Firenze, Modena, Ancona, Bologna, Trieste. Tra le regioni, a trainare per valore aggiunto prodotto è il Lazio, seguito da Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Marche. Tra le macro-aree, quella che produce il maggior valore aggiunto totale dell’economia locale è rappresentata dal Centro (7,5 per cento), seguita da Nord-Ovest (7,1) e Nord Est (5,8). Il Sud solo il 4,3 per cento.
Dalla comunicazione, all’artigianato 4.0, dal coinvolgimento del pubblico nell’ideazione e sviluppo dei prodotti, alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale: secondo il rapporto il digitale si conferma come strategia vincente, sempre. Bellissime anche le considerazioni sull’Art bonus, cioè il credito d’imposta introdotto nel 2014 a favore degli investimenti nella cultura: non solo per i 62 milioni finora raccolti grazie a 2.728 mecenati che hanno deciso di investire, ma soprattutto per la riscoperta del ruolo del patrimonio culturale da parte della società, con cittadini che sempre più vi dedicano energie oltre che denaro. In aumento le relazioni pubblico-privato per la promozione della cultura.
Insomma, la cultura fa bene all’economia e l’economia fa bene al patrimonio culturale. È un dato di fatto, bisogna solo crederci.
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