Si parla di vintage se un capo ha più di 20 anni, è definibile second hand invece è qualsiasi oggetto abbia già avuto un precedente proprietario.
Gli abiti digitali potrebbero rappresentare una svolta etica nella moda
The fabricant è la più grande maison di abiti digitali. Con loro abbiamo provato a capire le implicazioni pratiche e i possibili usi dei look virtuali.
- Dal 2016 esiste una fashion house digitale che si propone, attraverso indumenti fatti di pixel, di rendere più etico e democratico il mondo della moda.
- Tra le principali ragioni del manifesto di The fabricant studio, l’abbattimento delle barriere geografiche e la possibilità per chiunque di poter manifestare la propria creatività.
- Tra le applicazioni pratiche degli abiti digitali c’è anche quella di essere impiegati nella fase di ricerca e sviluppo e durante le campagne vendita dei brand al posto dei prototipi fisici.
Premesso che molti di noi stanno ancora elaborando il fatto che un Metaverso esiste e che lì succedono cose, c’è chi prospetta questa realtà come luogo grazie al quale potremo valutare delle alternative più sostenibili rispetto a quelle del mondo reale. Pensiamo all’industria tessile ad esempio: quella reale, lo sappiamo, è fortemente inquinante e non possiamo dire lo stesso del suo corrispettivo in pixel. Ma produrre degli abiti digitali a cosa serve?
Moda digitale, cos’è e che implicazioni può avere
The fabricant studio è la più grande maison di moda digitale esistente, è attiva in questo campo dal 2016 e la cosa interessante è che nel proprio Manifesto non fa riferimento tanto a scenari futuristici o a cyber-possibilità di uso, quanto a ragioni etiche. Nel Manifesto della società, The fabricant presenta infatti il concetto di Renaixance, ovvero di un futuro che appartenga ai creativi, in cui vengano eliminate le barriere sociali stabilite dalle grandi aziende e dalle grandi corporazioni e venga costruita una nuova economia, in cui il guadagno di ciascuno sia proporzionale al talento.
In questo futuro digitale, si legge nel Manifesto, un bambino di Dakar avrà le stesse possibilità di un bambino di Parigi di diventare una voce influente nel mondo della moda: tutto questo oggi è reso più reale dall’avvento delle blockchain, delle criptovalute e degli nft. E se realizzare degli abiti virtuali per un’esistenza virtuale può sembrare uno spreco di tempo ed energia (anche la nostra vita digitale ha un’impronta carbonica, seppur contenuta), ci sono delle applicazioni pratiche che effettivamente consentono di tagliare di molto emissioni, spreco di materiali, di acqua e di agenti tossici. Per provare a capire se veramente gli abiti digitali potrebbero in qualche maniera rappresentare una possibilità virtuosa di coniugare creatività e sostenibilità abbiamo parlato con Jeremia Turangan, communications assistant di The fabricant.
The fabricant studio è la più grande maison di moda digitale esistente e, stando al vostro Manifesto, l’obiettivo della moda digitale è quello di creare un mercato della moda più equo. Qual è stato il primo passo di questo processo?
Uno dei primi passi per riuscire a decentralizzare l’economia della moda e creare così un sistema più egualitario è quello di identificare tutto quello che di sbagliato c’è nell’attuale industria. I grandi marchi del lusso sono noti per sfruttare i propri dipendenti, appropriarsi di design, maltrattare i lavoratori. Abbiamo sentito la necessità di ridefinire questo atteggiamento e di dare a tutti le stesse opportunità. Noi di The fabricant studio vogliamo essenzialmente che designer, creatori, collezionisti e appassionati di moda abbiano le stesse possibilità non solo di essere visibili, ma anche di ricevere il giusto riconoscimento e il giusto compenso per il proprio lavoro. Questa è la nostra filosofia.
In che modo l’abbigliamento digitale dà a tutti le stesse possibilità?
Innanzitutto perché la sfera della moda digitale non è delimitata dalle distanze geografiche: tutti nel mondo possono partecipare al processo creativo, purché dispongano di un computer. L’uguaglianza viene creata dal fatto che questi confini fisici vengono eliminati, consentendo alle persone di unirsi al movimento e di prendere posizione nel mondo della moda digitale. Al contrario, l’industria della moda che conosciamo oggi è sempre stata una grande creatrice di illusioni: apparentemente sostiene la democratizzazione, mentre al contrario guadagna proprio grazie all’esclusività. I grandi brand cercano il più possibile di tenere questo mondo chiuso: la filosofia di The fabricant studio è quella di cancellare questo approccio decentralizzando la catena dell’abbigliamento, consentendo, in potenza, a tutti i clienti di diventare creatori.
Il vostro obiettivo è quello di vestire, nel Metaverso, 100 milioni di persone entro il 2025: quante persone utilizzano finora i capi digitali?
Ovviamente ci sono altri player all’interno dell’industria della moda digitale, quindi non abbiamo dati precisi a riguardo. Tuttavia, crediamo di stare andando nella giusta direzione: le persone stanno sempre più riconoscendo il potenziale degli indumenti virtuali, soprattutto grazie al networking e alle collaborazioni con altri creator.
Ad esempio quali?
La collaborazione più interessante in questo momento è quella con World of women, un collettivo di artiste creatrici di nft. Con loro abbiamo ridisegnato e trasformato, sulla base di alcuni design originali di Wow, 27 capi di abbigliamento in abiti 3D per il metaverso, da maggio poi apriremo la possibilità per ciascuno di customizzare un pezzo con differenti texture e materiali disegnati dalla community di artiste.
A proposito di sostenibilità: il vostro mantra è che la moda non debba sfruttare altro se non dati e fantasia. Avete mai fatto dei calcoli per sapere quanta impronta carbonica è possibile risparmiare con gli indumenti digitali?
L’impronta carbonica può ridursi fino al 30 per cento: ci sono alcune applicazioni pratiche in cui questo aspetto è cruciale, come ad esempio i sample che sostituiscono i capi fisici durante le fasi di progettazione e sviluppo, o durante le campagne vendita. Ma prendiamo anche una semplice T-shirt: per fabbricarne una reale il dispendio di CO2 è di 7,8 chilogrammi, mentre per una digitale non arriva al mezzo chilo. L’altro aspetto fondamentale è il consumo d’acqua, che nel caso degli abiti o dei sample digitali è zero. Ancora: con gli abiti digitali si ha anche una forte riduzione degli agenti inquinanti, 0,692 chilogrammi contro i 12.300 di una produzione fisica standard.
E che dire degli enormi server necessari per far funzionare il Metaverso? Non potrebbero essere considerati uno spreco di energia?
È inevitabile che sorgano molte domande quando si tratta di dati, processi tecnici e dell’energia che si utilizza. La differenza sta nell’impatto ambientale prodotto dal processo di realizzazione degli indumenti: noi non inquiniamo, non sprechiamo acqua o produciamo materiale in eccesso. La nostra missione è infatti quella di guidare l’industria della moda verso un nuovo settore di abbigliamento solo digitale, che non spreca altro so non dati e non sfrutta nient’altro che l’immaginazione. Alcuni brand “reali” collaborano con noi per la realizzazione di sample e utilizzano i nostri prodotti digitali per la campagna vendite, ad esempio. Un caso è quello di Peak performance, brand specializzato in outdoor che ha collaborato con The fabricant studio per la realizzazione di alcuni prototipi. La metodologia per calcolare l’impronta carbonica dei capi digitali tiene conto di un server, dell’uso della rete e dei data center che consentono l’accesso a internet. L’emissione di CO2 all’ora è stimata in 0,10 chilogrammi: considerando che per realizzare una T-shirt ci vogliono quattro ore, non si arriva al mezzo chilo di CO2.
Il Royal Melbourne institute of technology ha calcolato che l’impatto ambientale di una maglietta in poliestere con un peso di 0,18 chilogrammi è invece di circa 20,56 chilogrammi di CO2 durante tutto il suo ciclo di vita. Rapportando questi dati appare chiaro come l’utilizzo degli abiti digitali possa essere cruciale per ridurre l’impatto ambientale in operazioni come la ricerca e lo sviluppo, ma anche la fase di vendita. Ogni showroom fisico richiede dei sample reali: un marchio con dieci showroom in tutto il mondo avrà bisogno di dieci prototipi, quando potrebbe utilizzare solo un prodotto digitale. Inoltre, visto che la maggior parte dell’impatto per la realizzazione della maglietta digitale si ha nella fase di progettazione, è utile notare che più un designer è efficiente ed esperto e più il processo consentirà di risparmiare emissioni di carbonio. Infine, le risorse 3D possono essere utilizzate a tempo indeterminato: questo è particolarmente utile quando si pensa a prodotti continuativi che restano immutati da stagione a stagione.
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