Prendiamoci cura del clima

Anote Tong. In gioco non c’è solo il clima, ma il futuro di un’intera generazione

Salvare il futuro dell’umanità è una sfida possibile secondo Anote Tong, ex presidente di Kiribati e ora attivista per il clima. Perché in gioco non c’è solo il futuro del clima sulla Terra, ma quello di un’intera generazione di giovani che non ha nessuna colpa. Parola di nonno.

con la preziosa collaborazione di Mara Budgen

Leader indiscusso della lotta al riscaldamento globale, Anote Tong è stato per oltre dieci anni – dal 2003 al 2016 – presidente di Kiribati, uno degli stati isola più minacciati dall’innalzamento del livello dei mari. Kiribati è un arcipelago dell’oceano Pacifico composto da 33 atolli corallini e altri piccoli isolotti. Per cercare di proteggere questo paradiso naturale di biodiversità e salvare i suoi abitanti, Tong si è speso in prima persona, da presidente prima e da attivista poi, nella lotta internazionale contro i cambiamenti climatici.

Oggi, infatti, Tong è ambassador di Conservation International, la stessa ong che di recente ha annunciato il piano record per la riforestazione dell’Amazzonia con 73 milioni di alberi. Uno dei suoi cavalli di battaglia da presidente è stato il concetto “migration with dignity”, migrare con dignità. Anche se il più delle volte questa espressione è stata fraintesa o strumentalizzata. Nel corso della conferenza sul clima di Bonn, la Cop 23, gli abbiamo chiesto di spiegarci meglio questa come altre sfide per la salvaguardia del clima.

Leggi anche: Anote’s Ark, il documentario sulla vita di Anote Tong e sul futuro degli abitanti di Kiribati

Nel 2011 ha detto che a Kiribati “molti ragazzi vanno a dormire ogni notte con la paura che qualcosa possa accadere alla propria casa, soprattutto nei periodi di alta marea”. A sei anni di distanza, com’è la situazione?
Il dibattito sui cambiamenti climatici è stato incentivato dai paesi che si sono fatti avanti dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc). Con gli ultimi rapporti di analisi sono stati chiari: isole come le Kiribati, Tuvalu, le isole Marshall e le Maldive, nell’oceano Indiano, saranno sommerse entro la fine del secolo. E a meno che non si adottino iniziative di adattamento radicali saremo sott’acqua molto prima. Per chiunque è un futuro difficile da immaginare.

Per quanto mi riguarda, quando affrontavo tutto questo e quando mi battevo per questi temi ero un leader. Anche se mi sono ritirato dalla politica sono comunque nonno di molti nipoti e quindi il tema rimane per me molto importante. Guardo i miei nipoti giocare e mi chiedo: “Cosa accadrà a questi giovani?”, perché i cambiamenti climatici, sebbene stiano già accadendo e avendo degli impatti, non mettono a rischio la mia vita. Ma di sicuro metteranno a rischio il futuro dei miei nipoti. È così che dovremmo vedere la situazione. Molte persone dicono che non è un problema perché pensano solo a se stesse. Ma non si tratta della nostra generazione, ma della prossima e di quella dopo ancora. Stiamo parlando di persone, del loro futuro e del futuro delle loro nazioni. Quello che è a rischio è proprio questo. 

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Anote Tong all’Asselmblea generale delle Nazioni Unite nel 2013 © Mary Altaffer-Pool/Getty Images

Sempre in quegli anni, sotto la sua presidenza, Kiribati ha acquistato terreni – in parte proprio sulle Figi che hanno presieduto la Cop 23 – lanciando il concetto di “migration with dignity”, migrazione dignitosa, per dare la possibilità agli abitanti di costruirsi una nuova casa. Ci può spiegare meglio questo concetto?
Non ho mai detto che avremmo spostato la nostra gente alle Figi. La mossa di cercare nuove terre è stata fatta per mandare un messaggio alla comunità internazionale perché non stava reagendo. Nessuno si stava facendo avanti per dire: “Avete un problema, vi aiutiamo”. Comprare quella terra è stata una dichiarazione forte alla comunità internazionale. In realtà si è anche trattato di un investimento perché quella terra varrà di più in futuro. Molte persone e giornalisti mi chiedevano: “Sta spostando la sua gente?”, e la mia risposta è sempre stata: “No!”, ma chi verrà dopo di me potrà scegliere di farlo nel caso diventasse necessario. Il governo delle Figi si è fatto avanti dicendo che se le popolazioni di Tuvalu e delle Kiribati avessero bisogno di andarsene e non avessero altro posto dove andare, le Figi le accoglierebbero. E in questo caso le Kiribati avrebbero le terre per ospitare alcune di queste persone.

Cosa si dice sul tema delle migrazioni nei negoziati in corso? Arriveremo al riconoscimento dello status di rifugiato climatico prima o poi?
È stato detto tanto su questo tema. La realtà che dobbiamo affrontare è che qualsiasi cosa facciamo per creare più resilienza sulle nostre isole sarà comunque improbabile che riusciremo a creare un’area in grado di accogliere tutta la popolazione, senza considerare un successivo aumento demografico. Dobbiamo capire che stiamo parlando di uno scenario vicino, che accadrà tra venti o trent’anni. Dobbiamo affrontare la realtà crudele che parte della nostra gente potrebbe dover migrare perché non sarà possibile ospitare tutti, a prescindere dal modo in cui rispondiamo alla sfida dei cambiamenti climatici. Spesso mi sono sentito dire: “Il suo sarà un popolo di rifugiati climatici”.

Ho sempre rifiutato il concetto di rifugiato climatico. Rifiuto la terminologia e la classificazione della nostra gente come tale. Perché l’ultima cosa che vogliamo perdere, oltre alla nostra terra, è la nostra dignità. Vorrei che la nostra gente possa decidere se spostarsi, in modo volontario. E nel caso decidesse in tal senso, dovrebbe spostarsi con dignità. Come potremmo raggiungere questo risultato? Dovremmo essere proattivi non vittime. Provvedere attivamente all’istruzione e alla formazione dei nostri cittadini affinché possano avere le qualità per entrare in società nuove come persone qualificate. Saranno in grado di integrarsi nelle comunità come cittadini meritevoli, come leader. E saranno in grado di farlo con dignità.

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Un bimbo alle prese con l’alta marea a Kiribati © Josh Haner, 2016

Durante la conferenza di Bonn, abbiamo visitato la miniera di carbone di Garzweiler a 60 chilometri da qui. Una ferita che abbiamo causato alla terra e che teniamo aperta per la nostra fame di energia. Com’è possibile che ancora oggi, qui, in Germania, presunto leader europeo della lotta al riscaldamento globale ci sia una miniera così grande e con un impatto devastante sull’ambiente?
È proprio questa la mia domanda. Com’è possibile? Come può un paese aperto e lungimirante come la Germania continuare su questa strada. Credo che la risposta sia nelle coscienze del popolo e del governo tedesco. Quello che posso dire è che quando ho chiesto una moratoria sull’apertura di nuove miniere di carbone stavo semplicemente chiedendo l’attuazione degli impegni presi a Parigi nel 2015. Come possiamo continuare ad aprire nuove miniere se abbiamo deciso di ridurre le emissioni di CO2? Sono contraddizioni. Ed è questa la sfida.

Dopo aver lasciato la politica è attivo per la ong Conservation International. Di recente abbiamo dato la notizia del più grande progetto di riforestazione dell’Amazzonia mai realizzato. Quanto sono importanti queste iniziative e qual è il suo ruolo ora?
Questa azione sta sfidando l’accordo preso a Marrakech perché non sempre i governi sono i migliori agenti di cambiamento. C’è molto più conservatorismo nei governi perché sono guidati dai politici. E i politici sono sensibili a ciò che percepiscono come problemi politici. Ecco perché la maggior parte di questi non farà cambiamenti repentini. È importante che la società civile e le ong siano attive, in particolare quelle con maggiori competenze. Quando mi sono ritirato dalla politica nel 2016 ho continuato il mio lavoro con l’organizzazione Conservation International che è in linea con i miei obiettivi

Dovremmo supportare e collaborare con i governi e altri membri della società affinché ciò che si sta facendo con le foreste possa essere fatto anche per gli oceani, per affrontare le sfide che li riguardano come l’acidificazione, l’inquinamento e la plastica. È molto importante ed è efficace lavorare con le organizzazioni specializzate in questo.

Nel 2017 la presidenza è spettata alle Figi, pensa che Kiribati potrà mai presiedere un summit mondiale come questo?
Credo che nulla sia impossibile. Le Figi non erano in grado di ospitare la Cop fisicamente. ma la collaborazione tra nord e sud del mondo è importante, e presto avremmo bisogno di altre partnership. Le Figi capiscono le sfide dei cambiamenti climatici più di quanto possa farlo la Germania. La Polonia sarà il prossimo paese a ospitare la Cop. E sarebbe stato bellissimo se la Polonia avesse condiviso la presidenza con un altro stato isola. Quello che è davvero a rischio, quindi, è questo equilibrio di reciproca comprensione.

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